Se fossi un editorialista del Financial Times, probabilmente ci ritroveremmo a leggere qualcosa del genere: una narrazione tragicomica dove la corruzione non è più un difetto, ma il fulcro di un’epopea surreale che confonde Wall Street e Hollywood, con l’aggiunta di un pizzico di Kafka. E, per quanto assurdo possa sembrare, non ci sono alieni in questa storia, ma solo esseri umani, potenti, e disperatamente umani.

Il titolo del New York Times era già abbastanza eloquente: “L’inaugurazione di Trump, inondata di denaro, esaurisce i benefit per i grandi donatori”. Ma, come in ogni commedia ben scritta, c’è sempre un dettaglio che sfugge. Non è che i VIP ticket siano finiti davvero: semplicemente, i donatori non stavano acquistando biglietti. Stavano comprando qualcos’altro. Qualcosa di più viscerale. La possibilità di scrivere il copione del futuro.

Le nostre élite tecnologiche, sono alle prese con problemi esistenziali. Non sanno più come creare prodotti che le persone amino davvero, ma hanno capito come trasformare il disastro in profitto. Ecco perché Elon Musk, uno che sarebbe perfetto per una scena con Diane Keaton e un taxi giallo, ha investito almeno 250 milioni di dollari per aiutare Trump a vincere le elezioni. Bezos, Zuckerberg e altri magnati non si sono certo tirati indietro, contribuendo con cifre astronomiche per essere sicuri che il loro nome non venisse dimenticato nel nuovo ordine delle cose.

Durante l’inaugurazione, gli uomini più ricchi del pianeta non solo si sono garantiti una sedia accanto ai potenti, ma hanno acquisito qualcosa di più importante: un pezzo del potere stesso. Musk, secondo il New York Times, avrà addirittura un ufficio nell’Executive Office Building, a pochi passi dalla Casa Bianca. Un dettaglio che, per chiunque, tranne un comico, sarebbe semplicemente fantascienza.

Ma cosa stanno comprando, in realtà? Non solo politiche fiscali vantaggiose o una tregua dalle regolamentazioni oppressive. È più di questo: stanno acquistando la redenzione sociale e l’opportunità di riscrivere il modo in cui il pubblico li percepisce. La tecnologia ha smesso da tempo di essere un’industria da “bambini prodigio” e ha iniziato a sembrare una giungla piena di predatori. Zuckerberg, per esempio, è stanco di Facebook e del peso morale delle sue implicazioni. Ha investito miliardi nel Metaverso, solo per scoprire che nessuno voleva indossare un visore che sembrava un giocattolo di pessima qualità. Ora il suo sogno è il mercato della realtà aumentata, che dipende fortemente dalle decisioni commerciali e tecnologiche della presidenza Trump.

Nel frattempo, il settore delle criptovalute è forse il più disperato nel tentativo di ottenere un salvacondotto dalle conseguenze delle sue stesse azioni. Non è un caso che quasi ogni grande azienda tech sia sommersa da cause legali: Apple è alle prese con antitrust, Google ha appena perso una battaglia importante, e la FTC è sempre in agguato, pronta a colpire come un deus ex machina in un finale tragicomico.

In questa grande commedia umana, i protagonisti sembrano tutti impegnati in un disperato tentativo di preservare il loro status, mentre il pubblico – noi osserva con un misto di incredulità e cinismo. Forse, “Non so se il governo sia più corrotto o noi più ingenui, ma una cosa è certa: l’unico potere che ci rimane è quello di riderci sopra.”

E mentre le luci si abbassano su questa scena tragicomica, non possiamo che chiederci: è davvero questa la realtà? O è solo l’ennesima illusione, come un film che finisce con più domande che risposte?