Come se Los Angeles non avesse già abbastanza problemi – incendi che sembrano decisi a trasformare la città nel barbecue più costoso del pianeta – ora ci si mette anche l’ultima meraviglia della tecnologia: i deepfake generati dall’intelligenza artificiale. Perché, diciamocelo, che gusto c’è in una catastrofe senza un po’ di caos digitale?

Mercoledì, sui social (perché, ovviamente, è lì che il disastro si evolve oggi), hanno iniziato a circolare immagini dell’iconica scritta di Hollywood avvolta dalle fiamme, con incendi che sembravano divorare il Monte Lee. Peccato che fosse tutto falso, una creazione dell’intelligenza artificiale, e non della natura.

Subito dopo, e come per non deludere nessuno, sono arrivate altre immagini tarocche: saccheggi, devastazioni… insomma, il menù completo della paura. E naturalmente, in perfetto stile contemporaneo, il tutto ha fatto il giro del mondo in un batter d’occhio, perché se c’è una cosa che internet fa bene, è diffondere panico a velocità record.

Questi deepfake non sono solo frutto di creatività malata, ma fanno parte di un trend sempre più popolare: disinformazione e teorie del complotto che esplodono durante le crisi. Già lo scorso anno, durante l’uragano Helene, immagini generate dall’AI mostravano distruzioni in zone che non avevano visto nemmeno una goccia di pioggia. Com’era prevedibile, gli sciacalli digitali si sono scatenati, perché niente dice “genio comico” come giocare con le tragedie altrui.

Secondo Tim Weninger, professore di informatica all’Università di Notre Dame, queste bufale possono avere mille motivi. “Forse è solo trolling, forse vogliono far ridere,” ha detto. “Oppure ci sono ragioni sociali o politiche dietro, come criticare il governatore Newsom o suggerire che la California meriti di bruciare. È un mix di cinismo e cattiveria, ma anche un riflesso di ciò che come società tolleriamo.”

E ovviamente, giovedì, non poteva mancare Donald Trump, che ha colto l’occasione per bersagliare ancora una volta Gavin Newsom sui social. Sul suo Truth Social, ha coniato l’illuminante epiteto “Gavin Newscum” (un tocco di classe) e lo ha accusato di aver gestito malissimo i fondi idrici e gli incendi. Perché nulla dice “soluzioni” come insulti puerili.

Il vero problema, però, non è solo tecnologico: è umano. Le persone condividono queste immagini senza pensarci due volte, creando un cortocircuito di credulità e paura. “I problemi dei social media sono spesso più culturali che tecnologici,” ha detto Weninger. “Come società, non diamo abbastanza valore alla verità. La tecnologia può aiutare, ma alla fine la scelta spetta a noi.”

E, a scanso di equivoci, una portavoce del Hollywood Sign Trust ha confermato: la celebre scritta è ancora lì, intatta, a sorvegliare Los Angeles come un vecchio cartellone pubblicitario un po’ stanco ma in forma.

“Griffith Park è chiuso per precauzione,” ha detto. “Ma la scritta è al sicuro. Tutto il resto? Solo fandonie.”

Per ora, almeno, possiamo essere sicuri di una cosa: tra incendi veri e bugie digitali, Los Angeles rimane la capitale mondiale del dramma. E onestamente, chi avrebbe mai pensato che il protagonista sarebbe stato un algoritmo?