Il futuro. Un futuro che sembra sempre più somigliare a una combinazione di una commedia grottesca e un thriller psicologico, dove la trama si sviluppa mentre noi stessi siamo in bilico tra il rischio di farci fregare da una macchina e il desiderio insopprimibile di diventare parte di quella macchina. Quella che potrebbe essere la prossima grande svolta nell’intelligenza artificiale ha due nomi che ormai tutti conoscono: Sam Altman e Vitalik Buterin. E naturalmente, come accade in tutte le storie di grande importanza, le loro visioni sono divergenti.

Altman, il CEO di OpenAI, ha avuto la brillante idea di annunciare al mondo che la sua compagnia ha triplicato la base di utenti, raggiungendo i 300 milioni di attivi settimanali, un numero che fa tremare i polsi.

C’e un però.. Il piano ChatGPT Pro da $200 sta facendo perdere denaro all’azienda, ma non perché le persone non vogliono pagarlo ma secondo Sam Altman, perchè gli abbonati stanno semplicemente ottenendo più di quanto valgano i loro soldi.

D’altronde, cosa c’è di più esaltante del poter dire che la tua compagnia sta correndo verso l’intelligenza artificiale generale (AGI), quella creatura mitologica che finora viveva solo nei sogni più sfrenati degli sviluppatori?

Eppure, Altman non si ferma qui. Parla di “superintelligenza nel vero senso della parola”, come se fosse una passeggiata. E chi non vorrebbe una superintelligenza, un’entità che non solo “supera” noi esseri umani, ma che, forse, ci risolverà i nostri più piccoli e grandi dilemmi esistenziali? Ma no, il tempo di realizzazione resta un mistero. Potremmo aspettare una settimana, un mese o dieci anni. Chissà.

Altman ha annunciato in un post sul blog pubblicato lunedì il passato e il futuro di OpenAI. L’azienda punta alla “superintelligenza vera”, dice. “Amiamo i nostri prodotti attuali, ma guardiamo al futuro. Strumenti superintelligenti potrebbero accelerare enormemente la scoperta scientifica e l’innovazione, aumentando l’abbondanza e la prosperità.”

Altman descrive la superintelligenza, intesa come agenti AI più intelligenti delle persone, simile a come OpenAI parlava dell’AGI: “sistemi AI generalmente più intelligenti degli umani.” OpenAI ha sempre detto che vuole sviluppare un sistema di intelligenza artificiale generale (AGI) che “benefici tutta l’umanità.” Ma Altman ha cercato di ridimensionare le aspettative per l’AGI il mese scorso, affermando che sarà “meno importante” del previsto.

Ma nel frattempo, una voce più cauta, quella di Vitalik Buterin, co-fondatore di Ethereum, suggerisce che forse non è il caso di lasciarsi prendere troppo dalla frenesia. Non si tratta di essere pessimisti, sia chiaro, ma è un po’ come quando un tuo amico ti dice di non correre quando sei ubriaco: meglio evitare di sfidare la gravità senza pensare alle conseguenze.

La proposta di Buterin? Blockchain come meccanismo di sicurezza per l’IA. Se gli esperti hanno sempre immaginato che la sicurezza delle intelligenze artificiali fosse una questione di algoritmi complicati e difese cibernetiche, lui lancia un’idea radicale: l’utilizzo di una “pausa morbida” per fermare le operazioni dell’IA se qualcosa va storto.

Immagina di avere una spina che stacchi, ma che non sia mai veramente sotto il tuo controllo, un sistema globale in grado di mettere un freno al caos. Per quanto sembri assurdo, questa proposta implica la necessità di un consenso globale, come se il mondo intero dovesse alzarsi e decidere insieme, a un certo punto, che è ora di fermare tutto.

È un po’ come l’idea di chiudere le finestre di una stanza per evitare che un temporale ti rovesci addosso. L’idea di Buterin è quella di dare a tutti un’interruzione d’emergenza universale, perché nel caso di una catastrofe, essere troppo lenti a reagire potrebbe significare la fine.

E così ci ritroviamo davanti a due visioni, quasi come due facce di una medaglia, entrambe con un fascino irresistibile. Da un lato, c’è l’impeto di chi vuole accelerare il più possibile, ignaro dei rischi, per arrivare alla superintelligenza e cambiarci la vita in modo irrevocabile.

Dall’altro, c’è l’approccio più riflessivo di chi pensa che la fretta possa solo portarci alla rovina e che, magari, ogni passo vada pianificato con la stessa cautela con cui si progetta una lunga partita a scacchi. In fondo, non c’è una risposta giusta, ma è affascinante pensare che, in entrambi i casi, la posta in gioco è il nostro stesso futuro.

Il dilemma resta: spingere sull’acceleratore, come suggerisce Altman, o frenare con il piede leggero sulla leva, come raccomanda Buterin? Quello che è certo è che, in questa corsa, ogni scelta potrebbe avere conseguenze ben più grandi di quanto possiamo immaginare.