Ecco, siamo giunti nel 2025, e mentre tutti si affrettano a scrivere riflessioni sul progresso tecnologico, io, come sempre, mi ritrovo a pensare: “Beh, almeno non siamo stati ancora sostituiti dai robot… per ora.” Un piccolo conforto, se posso permettermi di dirlo. Ma anche se non siamo tutti robot, quest’anno è stato piuttosto interessante nel settore della musica generata dall’AI, come se una specie di caos ordinato si fosse insinuato nella scena. E chi avrebbe mai pensato che un nome come Drake sarebbe stato così ricorrente? Dall’uso dell’AI per deepfake la voce di Tupac in un brano di Kendrick Lamar fino a “BBL Drizzy”, la prima canzone generata dall’AI ad avere un campionamento ufficiale, Drake è riuscito ad essere più influente della maggior parte degli altri, rivitalizzando un dibattito che sembra non fermarsi mai.
A proposito di Drake, è curioso come la musica AI si sia infiltrata in ogni angolo dell’industria, dal litigio sul licensing con TikTok di Universal Music Group (UMG) fino al primo caso di frode da streaming, passando per la traduzione di “Rockin’ Around the Christmas Tree” in spagnolo con l’ausilio dell’AI. Anche Randy Travis ha “riavuto la sua voce” grazie a questa tecnologia, e c’è stato un lungo percorso legale che ha visto la creazione dell’ELVIS Act in Tennessee, finalmente stabilendo alcune regole fondamentali. Una mossa che, a dire il vero, non ci aspettavamo nemmeno.
E nonostante questo panorama ricco di eventi, l’adozione di strumenti musicali basati su AI continua a restare sorprendentemente bassa. E qui viene il mio pensiero ricorrente: fino a che punto possiamo andare con questa onda di startup che sembrano crescere come funghi? Se meno persone si iscrivono di quanto previsto, e ancor meno sono disposte a pagare una sottoscrizione, queste aziende stanno veramente bruciando risorse senza possibilità di sostenibilità?
Il 2025 ci porterà senza dubbio un assottigliamento del mercato, è la legge delle tecnologie emergenti. La tendenza sembra essere quella di vedere queste aziende modificare continuamente i loro modelli di business, adattandosi alla rapida evoluzione del mercato. In fondo, in questo mondo, c’è solo una certezza: il cambiamento è una costante. Nulla resta mai uguale, nemmeno per un attimo.
Se c’è una cosa che mi stupisce ogni anno, è come l’industria della musica riesca a sorprendere, per quanto si tratti di una macchina che a volte sembra troppo affannata, quasi come se stesse cercando di non soccombere al peso delle sue stesse scelte. UMG, ad esempio, ha scelto di non rinnovare il suo contratto con TikTok, facendo trapelare qualche preoccupazione sul fatto che l’AI fosse usata per allenare modelli senza il giusto pagamento agli artisti. Non che voglia fare il romantico, ma c’è qualcosa di poetico nel fatto che proprio l’AI, che promette di rendere tutto più veloce ed efficiente, stia invece alimentando battaglie sul compenso equo. Forse TikTok avrà lanciato il suo modello musicale Ripple, ma dietro le quinte si percepisce un cambiamento in atto, che riguarda tutto, tranne la parola “equitativo”.
E poi c’è l’ELVIS Act. A mio parere, una mossa un po’ affrettata. L’idea che ora le voci siano protette per la prima volta in Tennessee è sicuramente una conquista, ma c’è qualcosa di inquietante, quasi un’ombra di misticismo nella rapidità con cui questo è stato fatto. La legge non si è preoccupata di chiedersi se davvero siamo pronti a gestire l’etica della tecnologia che ora sta riscrivendo le regole del gioco.
Cosa dire del celebre Drake, che prima sventola il cartello “anti-AI” e poi si impegna in un’operazione che vede un deepfake della voce di Tupac su un suo brano? È chiaro che ci troviamo di fronte a una sorta di paradosso dove l’artista che vuole preservare la propria “autenticità” diventa, in realtà, il principale fautore di un abuso del concetto stesso. Certo, l’industria musicale è sempre stata una fiera di contraddizioni, ma questa volta sembra che ci sia davvero da ridere, se non fosse che la risata potrebbe rivelarsi amara.
Poi c’è “BBL Drizzy”, un pezzo che inizia come una parodia e finisce per diventare il primo campione generato da AI ad essere effettivamente autorizzato. Ma la domanda che mi sorge spontanea è: come si autorizza un campione di AI? E alla fine, ci rendiamo conto che “BBL Drizzy” ha fatto da apripista, con tanto di discussioni legali e professionali su come trattare le opere dell’AI in un contesto legale. Ma a chi importa davvero della legalità quando un intero nuovo mondo di possibilità si apre davanti ai nostri occhi?
E non dimentichiamo i casi legali, che non sono certo da sottovalutare. Suno e Udio sono finiti sotto accusa per violazione del copyright, ma a quanto pare alcuni investitori non si sono preoccupati troppo. In fondo, quando si investe in un prodotto che può infrangere le leggi, si corre il rischio che qualcun altro, magari più “grande” di te, venga a riscuotere il debito. Che faccia da un lato il buon investitore, dall’altro il corruttore di mercati. Chissà se l’industria musicale è pronta a fare i conti con una nuova era legale, dove le regole sono ancora tutte da scrivere.
Eppure, l’intelligenza artificiale sta lentamente infiltrandosi in ogni aspetto della musica, dai grandi artisti che si riappropriano delle loro voci a chi, grazie a una tecnologia che suona un po’ da incubo, risorge dal passato per cantare in lingue straniere. Come se fosse tutto troppo perfetto per essere vero, ma, come sempre, il mondo non ci lascia il tempo di farci troppe domande.
La verità è che tutto sembra più confuso che mai. E, come al solito, c’è sempre il rischio che a vincere siano le macchine, ma non siamo ancora pronti a rendercene conto.