Un mio amico, un vero scienziato in intelligenza artificiale e mio istitutore privato, mi ha insegnato una cosa fondamentale, ovverosia che in materia occorre camminare facendo due passi avanti, massimo tre, e uno indietro. Correre un po’ di più di come consigliava Lenin, in un suo saggio del 1904, di fare un passo in avanti e due indietro per dare modo di scegliere saputamente. Non solo. Mi ha insegnato che necessita dare certezza ai miliardi di dati di cui l’AI si nutre e non distrarsi minimamente dal suo essere strumento capace di autoalimentarsi, con tutti i rischi che ne conseguono.

Fondamentale è pertanto il suo impegno strumentale nel benessere della persona, attraverso l’umanizzazione delle procedure informatiche. Prioritariamente, nella prevenzione delle patologie, soprattutto di quelle minacciate dalla genetica, dal DNA, dalle cattive abitudini, dall’ambiente di vita e dalla cultura che punta le sue fiches sulla terapia e la riabilitazione sottraendo risorse alla tutela dello star bene.

Già mettere insieme tutti questi dati, tali da tradurli in sistema di analisi e predizione, è funzionale ad offrire anzitempo la conoscenza alla persona umana (così la definisce la Costituzione all’art. 3, comma 2) del suo futuro quali-quantitativo, di come dovrà affrontare l’invecchiamento, perché esso non sia una triste condizione anagrafica.

L’intelligenza artificiale ragiona, cresce e riproduce da sé attraverso un sistema di algoritmi. L’algoritmo dal canto suo, quale sistema di calcolo dalla “muscolatura” scientifica possente, è dunque lo strumento che deve far proprio il vivere civile, in ogni sua sfaccettatura. Per farlo deve apprendere dalla strada ove la gente nasce, vive, fa l’amore, apprende, sbaglia, subisce spesso acriticamente, fa politica e dunque muore.

In buona sostanza, l’algoritmo prima di chiudersi nella sua stanza dei bottoni deve essere attrezzato della più potente e sensibile conoscenza che ci sia. Per fare questo deve avere bisogno di rilevatori umani corretti che gli forniscano dati autentici, non manipolati ovvero desunti, bensì raccolti con la dovuta cautela e precisione.

Solo così potrà essere pronto l’algoritmo che ci vuole, capace di elaborare e pervenire ad efficaci sintesi del complessivo dei dati che assume da ogni persona e dai luoghi di sua frequenza, messi in relazione con quelli storici già in suo possesso, soggetti pertanto ad essere attualizzati. Così facendo metterà sotto torchio le “grandezze variabili” mettendole a confronto con quelle “variabili”, in una logica impattante con ulteriori dati del tipo quelli clinici, antropometrici e gli hallmarks of aging (Della Morte e Veltri 2024, docent).

Così costruito, l’algoritmo assumerà il ruolo strategico di portare a compimento un’analisi complessa propedeutica a risolvere un problema specifico, nel caso di specie la salute della persona nel tempo. Non solo nella sua attualità ma anche nel suo percorso di invecchiamento, presagendo come farlo al meglio e con il migliore risultato possibile.

Immaginiamo per un attimo ad un siffatto strumento nella sua ricaduta sociale e solidaristica, se reso attivo nella dimensione territoriale e demografica più ampia. Un modo, questo, per assicurare – attraverso un approccio olistico – il calcolo con la conoscenza di qualsivoglia vivere sociale, ovunque rilevato. Nei piccoli centri, sino ad oggi trascurati dai servizi assistenziali e privi di presidi strutturali dedicati, così come nelle grandi città, per altri versi ingombrate da una vita convulsa e faticosamente generosa nei confronti della persona resa sempre più anonima, gli algoritmi dedicati al buon invecchiamento rappresenteranno la carta vincente. Specie se si tiene conto che la popolazione anziana sarà da presagire, tra poco meno di un decennio, votata al conseguimento del traguardo maggioritario del 35-38% della popolazione nazionale.

Ma la modalità applicativa di una tale specie di intelligenza artificiale sarà certamente utile a prendere atto della presenza incrementale di altre etnie, alle quali dovere garantire un’assistenza sociosanitaria sull’attuale e una corretta previsione del loro invecchiamento progressivo.

Attesa questa indiscutibile utilità assistenziale e predittiva dello stato di salute della popolazione nel suo susseguirsi a cura dell’AI, si renderà necessaria una presa di coscienza del sistema di algoritmi all’uopo dedicati da parte degli operatori di cosiddetta frontiera, intendendo per tali quelli esposti direttamente alle istanze di salute delle persone indistintamente. Da qui, la diffusione di una siffatta metodologia algoritmica, posta a sistema, sia nei siti dell’assistenza medica assicurata dai medici di famiglia che nelle farmacie, oramai destinate a divenire sempre di più presidi indispensabili a soddisfare la prima istanza, magari poste in relazione costante e continuativa con le case di comunità e le centrali operative territoriali.    

Ettore Jorio, professore di diritto sanitario e diritto civile della sanità e dell’assistenza presso l’Università degli Studi della Calabria (Unical)


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