Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, il successore di GPT-4, nome in codice “Orion,” sembra essere bloccato in una fase di stallo che ricorda più un esperimento artistico che uno sviluppo tecnologico rigoroso. Con costi di addestramento definiti “enormi,” il progetto procede a rilento, lasciando intendere che, al momento, l’intelligenza artificiale non sia ancora pronta per il suo debutto.
La decisione su quando Orion sarà pronto per il lancio non sembra basarsi su metriche oggettive o benchmark rigorosi, ma piuttosto su un criterio più evanescente e soggettivo: le “vibes.” Secondo il WSJ, sono gli stessi dirigenti di OpenAI a stabilire se il modello merita il titolo di GPT-5, affidandosi in gran parte al loro istinto e a sensazioni difficili da definire.
In un settore che celebra l’analisi dei dati e la precisione algoritmica, l’idea che la prossima evoluzione dell’intelligenza artificiale possa dipendere dalle “vibes” aziendali suona ironica, se non inquietante. Dopo tutto, un modello AI dovrebbe distinguersi per la sua capacità di elaborare enormi quantità di informazioni e produrre risposte razionali, non per rispecchiare l’intuizione emotiva dei suoi creatori.
Finora, però, queste “vibes” non sembrano promettenti. Gli ingegneri e i ricercatori continuano a lottare con problemi di addestramento che minacciano di far lievitare ulteriormente i costi già fuori scala. E mentre i dirigenti riflettono su quando Orion sarà abbastanza “smart” per meritare un nuovo nome, il mondo osserva, chiedendosi se il futuro della tecnologia sia davvero così affidabile come sembra.
Forse è il caso di sperare che, oltre alle “vibes,” qualcuno inizi a consultare anche i numeri.