Questo articolo si basa su appunti di lezioni preparati per una serie di seminari che Carlo Rovelli ha tenuto al Dipartimento di Filosofia di Princeton nel novembre 2024. Coprono la struttura concettuale della gravità quantistica, l’interpretazione relazionale della meccanica quantistica, la struttura del tempo, il suo orientamento e l’apertura del futuro, il fondamento fisico dell’informazione e del significato e alcune considerazioni generali sul fatto che i concetti evolvono, sul prospettivalismo e l’antifondazionalismo.
Quando la scienza incontra la spiritualità, ci troviamo in una situazione che sembra uscita da un dialogo surreale: immaginate un fisico quantistico che si siede su un cuscino meditativo e inizia a discutere con l’universo. Non stiamo parlando di un colpo di scena in un film di fantascienza, ma di una riflessione seria che ha il potenziale di rivoluzionare il modo in cui comprendiamo la realtà.
L’idea che la scienza e la spiritualità siano compartimenti stagni è un vecchio cliché che probabilmente andrebbe archiviato insieme agli oroscopi scritti su carta di giornale. La scienza, con il suo rigore metodologico, è riuscita a spiegare fenomeni che un tempo sembravano magici. Tuttavia, persino la scienza moderna sembra arrestarsi davanti a certe domande fondamentali: che cos’è la coscienza? Esiste il libero arbitrio? Perché l’universo sembra seguire regole matematiche così precise ma misteriose?
La fisica quantistica, in particolare, è una fiera che sfugge a ogni tentativo di essere domata. I concetti di entanglement, sovrapposizione e collasso della funzione d’onda sfidano il buon senso comune e lasciano i filosofi – e a volte anche i fisici – in preda a crisi esistenziali. È qui che la spiritualità fa il suo ingresso non invitata, ma sorprendentemente utile. Se la realtà è fatta di simboli e significati, come afferma chi cerca di unire i due mondi, allora la scienza deve riconoscere che l’informazione pura, senza un significato soggettivo, è come un libro in una lingua sconosciuta: tecnicamente esiste, ma non comunica nulla.
L’idea che il campo quantistico possa essere «cosciente» può sembrare bizzarra, ma a pensarci bene non più di quanto lo siano l’entanglement o l’esistenza di particelle che esistono solo quando vengono osservate. Forse, se smettessimo di fare i cinici scientifici, potremmo trovare una sorprendente armonia tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo.
E poi c’è l’intelligenza artificiale, la nuova protagonista in questa opera in continua evoluzione. La narrazione dominante ci racconta di macchine che un giorno supereranno l’intelletto umano, con algoritmi che creano arte e scrivono poesie. Ma queste macchine comprendono davvero ciò che stanno facendo? O stanno semplicemente riorganizzando simboli secondo regole stabilite dagli esseri umani?
L’intelligenza artificiale, nel suo stato attuale, è come un eccellente attore che recita con passione un copione che non comprende. La differenza fondamentale tra una macchina e un essere umano è la capacità di attribuire significato. Un computer può vincere una partita a scacchi, ma non potrà mai capire cosa significa la vittoria, almeno non nel senso che intendiamo noi.
E allora, forse il vero compito che ci aspetta non è tanto costruire macchine sempre più simili agli umani, quanto riscoprire cosa ci rende veramente umani. Se la scienza può finalmente riconoscere che il significato è parte integrante dell’universo e non solo un’illusione del cervello, potremmo trovarci di fronte a un nuovo rinascimento, un’epoca in cui la conoscenza e la saggezza non saranno più rivali, ma complici in una danza infinita.
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