Era una serata qualunque del 1998, in un piccolo garage di Menlo Park. L’aria era impregnata del familiare odore di circuiti riscaldati e cavi di alimentazione. Due giovani studenti di Stanford, Sergey Brin e Larry Page, armeggiavano attorno a una macchina dal design spartano, montata su un case di Lego multicolore. Nessuno avrebbe potuto immaginare che quella strana combinazione di plastica e silicio avrebbe presto riscritto la storia della tecnologia.
Tutto iniziò con una teoria vecchia di decenni: la Teoria dell’Informazione di Claude Shannon. Era una teoria nata per trasmettere segnali su fili elettrici, un codice binario di 0 e 1 che trasformò il mondo in impulsi accesi e spenti. Su questa base, Turing costruì la sua visione delle macchine computazionali, dando vita a quell’architettura che ancora oggi chiamiamo computer di Von Neumann.
Il cuore dell’algoritmo sviluppato da Brin e Page era il PageRank, un sistema di classificazione dei siti web basato sull’analisi dei link. L’intuizione era semplice ma potente: un sito è tanto più importante quanto più è citato da altri siti rilevanti. Questa struttura matematica, radicata nella teoria dei grafi, divenne il fondamento di Google.
In quel periodo, Internet era ancora un territorio selvaggio, dominato da motori di ricerca come Altavista, Excite, Yahoo e Lycos. Ogni azienda aveva un approccio diverso, ma nessuna di loro aveva compreso il potenziale di una struttura matematica così potente. Google iniziò a emergere non solo per la qualità dei risultati di ricerca, ma anche per la semplicità della sua interfaccia utente, un dettaglio spesso trascurato.
La storia di Google è il perfetto esempio di ciò che accade quando le intuizioni teoriche incontrano il coraggio imprenditoriale. Nel 1998, Brin e Page cercarono di vendere il loro algoritmo rivoluzionario per un milione di dollari a Excite e Yahoo. Ridussero la richiesta a 750.000 dollari, ma i giganti dell’epoca non videro il potenziale nascosto in quei bit ordinati con rigore matematico. Così, mentre i colossi stagnavano nel loro comfort tecnologico, Google ricevette un primo assegno da 100.000 dollari da uno dei cofondatori di Sun Microsystems. Fu l’inizio di una rivoluzione che oggi vale 3 trilioni di dollari.
Ma questa storia è solo un capitolo di un libro che si scrive da oltre 70 anni. Dalla logica binaria ai percettroni, dalle reti neurali agli attuali modelli linguistici di intelligenza artificiale, il progresso è stato un inarrestabile susseguirsi di intuizioni, errori e trionfi. L’AI di oggi è costruita su strati di complessità crescenti, ma ancora radicata nelle basi di Shannon e Turing.
Negli ultimi anni, la ricerca ha esplorato nuove frontiere, come i modelli basati su reti neurali profonde e tecniche di apprendimento non supervisionato, che consentono alle macchine di imparare senza intervento umano. L’integrazione di algoritmi quantistici potrebbe essere il prossimo grande passo, portando le capacità computazionali a livelli mai immaginati.
Parallelamente, le sfide etiche e normative si sono intensificate. Le implicazioni della raccolta massiva di dati, la privacy degli utenti e l’impatto sul mondo del lavoro sono diventate questioni centrali. Governi e organizzazioni internazionali stanno lavorando per definire regole che bilancino innovazione e diritti individuali.
Guardando avanti, la domanda cruciale è se siamo nuovamente in un “momento 1998”. Stiamo forse ignorando la prossima rivoluzione mentre ci concentriamo sugli attuali modelli basati su Transformer? Nelle università e nei garage di tutto il mondo, qualcuno potrebbe già lavorare su una nuova teoria dell’informazione che superi la logica binaria, capace di elaborare dati non più come sequenze di 0 e 1, ma attraverso rappresentazioni multidimensionali che oggi possiamo solo immaginare.
Quando Larry Page e Sergey Brin fondarono Google nel 1998, la loro visione di un motore di ricerca universale non era supportata da un’infrastruttura all’avanguardia, ma da un armadio costruito con mattoncini Lego. Questo primo server conteneva dieci dischi rigidi da 4 GB ciascuno, per un totale di appena 40 GB di spazio di archiviazione. Quella che oggi sembra una quantità ridicola era allora un’innovazione necessaria per contenere i costi.
L’utilizzo dei mattoncini Lego non era solo una scelta economica, ma anche pratica. La struttura modulare permetteva di espandere e riconfigurare facilmente l’hardware. Questo approccio “fai-da-te” incarnava lo spirito imprenditoriale di una startup universitaria che ancora non immaginava di diventare una delle più grandi aziende tecnologiche del mondo.
I giganti tecnologici sono avvertiti: come dimostrato dalla storia, il potere di una grande idea supera quello del capitale consolidato. Le fondamenta del prossimo impero tecnologico potrebbero essere costruite con materiali inaspettati, forse anche con mattoncini di Lego.
[NdA: THX To Nicola Grandis per l’ispirazione]
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