Immaginate di essere Nvidia, il gigante dei semiconduttori. Un tempo siete solo un’azienda che produce schede grafiche per far girare videogiochi dove personaggi pixelati si sparano con una grafica spettacolare. Poi, un bel giorno, decidete di conquistare il mondo con chip AI così potenti che potrebbero calcolare l’età dell’universo mentre cucinano una perfetta omelette francese.
Nel 2020 comprate Mellanox, un’azienda israeliana che produce hardware per data center, per la modica cifra di 6,9 miliardi di dollari. Siete al settimo cielo, come un bambino che ha appena ricevuto il suo primo set Lego galattico. Ma c’è un piccolo dettaglio: la Cina vi dice che dovete condividere le innovazioni di Mellanox con le aziende cinesi entro 90 giorni dall’introduzione. Certo, rispondete voi, con l’entusiasmo di chi promette di telefonare alla suocera ogni domenica.
Flash forward al 2024. Nvidia vale più di 3 trilioni di dollari, lasciando Microsoft, Apple e Google a chiedersi dove abbiano sbagliato nella vita. La Cina però non ha dimenticato quell’accordo del 2020. Forse qualcuno a Pechino ha trovato un post-it dimenticato su una scrivania con scritto “Ricordarsi di controllare Nvidia” e ora accusa l’azienda di non aver rispettato gli obblighi di condivisione tecnologica.
Nel frattempo, negli Stati Uniti, il Dipartimento di Giustizia inizia a investigare Nvidia per comportamento monopolistico. A questo punto, Jensen Huang, il CEO di Nvidia, probabilmente si sente come in un vecchio film noir: assediato da ogni lato, con lampade accecanti puntate in faccia, mentre qualcuno urla “Confessa!”.
E come in ogni classico dramma geopolitico, entra in scena il governo americano, che decide di complicare la vita a tutti imponendo nuove sanzioni alla Cina, rendendo più difficile produrre chip avanzati. La Cina, ovviamente, risponde con restrizioni sulle esportazioni di minerali chiave. È come se due vicini litigassero lanciandosi pericolose casseruole di tecnologia avanzata sopra la recinzione.
Per ora, resta una complicata danza diplomatica in cui tutti sembrano ballare con scarpe di cemento e un inesorabile senso del destino tecnologico.
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