Come sta andando il settore della tecnologia in Europa? A monitorarne lo stato di salute è la decima edizione di ‘State of European Tech‘, il rapporto del fondo di investimento Atomico basato su 41 Paesi europei, secondo il quale il settore ha grandissime potenzialità – potrebbe raggiungere tra 10 anni il valore di 8 trilioni di dollari e un totale di 20 milioni di professionisti impiegati – ma manca di disponibilità di capitali per la fase di crescita, cosa che costringe una startup Ue su due a cercare finanziamenti negli Usa.

Per quanto riguarda l’Italia il rapporto sottolinea come siano stati fatti dei progressi. Ancora 10 anni fa, il nostro Paese non aveva nessuna azienda tecnologica che fosse un unicorno, mentre oggi le tech company Made in Italy che valgono oltre 1 miliardo di euro sono sette: Satispay, Tatatu, ScalaPay, Kong, Technoprobe, Bending Spoon e il Gruppo MutuiOnline.

Per quanto riguarda gli investimenti si prevede invece che si possa passare, nel prossimo decennio, dai 900 milioni di dollari attuali ai 7,7 miliardi di dollari, cosa che dovrebbe fare volano anche all’occupazione, atteso che, nell’ultimo decennio, quella del settore tech in Italia ha già dimostrato delle interessanti possibilità di crescita, passando da 26 mila a 167 mila unità. Numeri che dovrebbero far riflesstere sull’opportunità, a livello politico, di spingere ancora di più sull’acceleratore per sostenere e stimolare questo comparto, in grado di creare innovazione ed occupazione.

Il dato che fa riflettere comunque, scorrendo le informazioni contenute nel rapporto, è il confronto allargato tra Europa e Stati Uniti, da cui emerge che le due aree sebbene partano da una base simile in termini di numero di aziende costituite divergono poi inevitabilmente. Le startup americane infatti hanno il doppio delle probabilità di raggiungere round di finanziamento superiori ai 15 milioni di dollari rispetto a quelle europee.

Non è un caso allora che una startup su due in Europa, tra quelle in fase di sviluppo, si sia rivolta, forse sarebbe meglio dire si sia dovuta rivolgere, ad un investitore Usa per un finanziamento. Anche in questo caso una riflessione è d’obbligo atteso che la circostanza si porta poi dietro anche un tema legato alla fuga di risorse dall’Europa, segnatamente talenti e conoscenze.

Guardando ai dati positivi comunque, ci sono anche questi, dal 2015 ad oggi, le aziende tecnologiche europee hanno raccolto 426 miliardi di dollari in investimenti, dieci volte di più rispetto ai 43 miliardi del decennio precedente. Qualcosa si muove quindi.

Per quanto riguarda l’anno in corso, nel 2024 le tech company dell’Ue si stima raccoglieranno 45 miliardi di dollari, sostanzialmente in linea con i 47 miliardi del 2023.

Sempre nell’ambito delle note positive espresse dal rapporto, se nel 2015 Londra era l’unica città europea nella lista mondiale dei dieci principali hub per i finanziamenti alle startup emergenti, oggi la capitale inglese è salita al secondo posto a livello globale con Berlino e Parigi subito dopo, all’interno della Top10.

Attualmente, in Europa, ci sono 35.000 startup tech emergenti, che impiegano circa 3,5 milioni di persone, con il settore deeptech – che comprende intelligenza artificiale, robotica, biotecnologie, semiconduttori, computer quantistici, sviluppo di materiali avanzati, spazio – a fare da traino. Le startup che si occupano di questo comparto hanno ottenuto il 33% dei finanziamenti totali in Europa nell’anno in corso.

Il prossimo passo? Sviluppare un ecosistema di crescita capace di fungere da volano per il settore, attraverso finanziamenti significativi che richiedono il convinto supporto dell’Ue, dei singoli governi e del mercato dei capitali di rischio europeo.

Per farlo bisognerebbe “mettere a terra” le indicazioni contenute nel Rapporto Draghi sulla competitività dell’Europa.

Il punto vero è se la nuova Commissione Ue a guida Von der Leyen, la cui squadra ha avuto un via libera da parte del Parlamento europeo piuttosto risicato (tradotto: è in una posizione di estrema debolezza) riuscirà a portare avanti gli investimenti necessari per colmare il divario con gli Stati Uniti (ma anche con la Cina in alcuni settori strategici e trainanti come il fotovoltaico, le batterie e l’elettrico) e a sbloccare i finanziamenti necessari per assicurare alle start-up e alle Pmi europee pari opportunità con quelle made in Usa. Ma per far questo, è necessario che la nuova Commissione sia in grado di superare le divisioni interne ai vari gruppi nell’ambito del Parlamento Ue mettendo al centro del proprio lavoro la ricerca, l’innovazione, la scienza e la tecnologia come volano di sviluppo e crescita dell’economia europea dei prossimi anni.


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