Oggi ho imparato un termine che mi ha fatto riflettere: Potemkin AI. Una definizione che si riferisce a quei sistemi di intelligenza artificiale che, apparentemente, vantano un’auto-sufficienza e una sofisticazione avanzata, ma che in realtà si reggono su una quantità impressionante di lavoro umano nascosto dietro le quinte.
La terminologia trae ispirazione dalla storia di Grigory Potemkin, un nobile e militare russo del XVIII secolo, noto per aver costruito “villaggi finti” per impressionare l’imperatrice Caterina la Grande. Questi villaggi, seppur splendidi da fuori, non erano altro che scenografie, con edifici vuoti e disabitati. Un colpo di genio, in un certo senso, per camuffare la realtà.
Nel contesto dell’IA, Potemkin AI descrive situazioni in cui compiti che sembrano essere gestiti da intelligenze artificiali sono, in realtà, svolti da esseri umani, spesso per creare l’illusione di un’automazione sofisticata. È un po’ come il mago che ti fa vedere il coniglio nel cappello, ma in realtà lo ha messo lì prima.
Ci sono esempi lampanti di questa pratica, soprattutto nel mondo della robotica. Ricorderete, per esempio, l’imponente presentazione dei robot Tesla Optimus durante il lancio del loro “Cybercab”. I robot, magnificamente coreografati, parlavano, si mescolavano tra la folla, servivano drink, ballavano e giocavano con gli ospiti. Ma quando il sipario si è alzato, si è scoperto che erano per lo più teleoperati e assistiti da personale umano di Tesla. Un po’ come un palcoscenico vuoto con delle comparse, ma niente di più.
Incredibilmente, proprio questa settimana, alcuni media hanno riportato che Tesla sembra stia costruendo un team di tele-operatori. Una recente offerta di lavoro parlava di un ingegnere software che avrebbe dovuto sviluppare un sistema di teleoperazioni per consentire agli operatori umani di controllare a distanza i robotaxi e i robot umanoidi che Tesla sta preparando. Immaginate la scena: un operatore seduto a casa, magari in pigiama, che fa camminare un robot in giro per la città. Potremmo anche definirlo l’apice della “robotica a distanza”.
Ma il termine Potemkin AI non si limita alla robotica, no. È, a mio avviso, una metafora bellissima per descrivere l’intero panorama dell’intelligenza artificiale generativa. Parliamo di un’industria che, pur avendo fatto notevoli progressi negli ultimi due anni, è lontana dal dimostrare una vera e propria redditività. Le risorse necessarie per alimentare questa tecnologia – energia, hardware, capacità computazionale – sono enormi, eppure non sembra esserci una corrispondenza diretta con il ritorno economico.
In fondo, il settore è disseminato di un altro tipo di villaggio finto: la narrativa utopica spinta dai guru della Silicon Valley, come Sam Altman e Marc Andreessen, che raccontano storie fantastiche su come l’IA risolverà ogni problema del mondo, creando un paradiso terrestre. Certo, non si tratta di ingenuità. È piuttosto una questione di attrarre investitori, che, si sa, amano le favole. La realtà, per quanto affascinante, è un po’ più complessa.
L’intelligenza artificiale è una forza che dobbiamo imparare a conoscere e a comprendere, ma ci sono ancora molte sfide da affrontare, sia etiche che tecniche. Ecco perché, ogni volta che vedo un annuncio su un nuovo, straordinario algoritmo, non posso fare a meno di pensare a quel villaggio di cartapesta, costruito per impressionare, ma che alla fine nasconde il vuoto. Come un sogno che si dissolve al risveglio, l’IA si scontra con una realtà ben più difficile da gestire.
Newsletter – Non perderti le ultime novità sul mondo dell’Intelligenza Artificiale: iscriviti alla newsletter di Rivista.AI e accedi a un mondo di contenuti esclusivi direttamente nella tua casella di posta!