Imogen Heap, vincitrice di Grammy e pioniera tecnologica, si è imbarcata in un progetto che definire innovativo è poco: ha unito le forze con una piattaforma di intelligenza artificiale musicale chiamata Jen. Ora, già il nome “Jen” mi fa pensare a una persona che indossa maglioni troppo grandi o cardigan con pelliccia ecologica e discute di etica mentre sorseggia tè matcha. E invece no: è una piattaforma di IA che promette di essere etica. Ecco, non so voi, ma io quando sento “IA etica” mi viene un leggero mal di testa.

Il progetto di punta si chiama StyleFilter, praticamente, l’idea è che puoi prendere il tuo brano musicale e, tramite un’apposita rotella (sì, c’è una rotella, io me la immagino come quella del volume), decidere quanto “Imogen Heap” vuoi che suoni. È come se ti dessero il potere di trasformare un semplice caffè in un cappuccino al latte di mandorla senza zucchero. Insomma, un sogno per i fan e un incubo per chi è già in ansia per la creatività umana.

Heap ha descritto il risultato come un “servizio musicale funzionante”. Ora, io non sono un esperto, ma un servizio musicale che funziona? Stiamo scherzando? Sarebbe una novità assoluta!

Come se non bastasse, Jen ha creato un modello vocale basato sulle corde vocali virtuali di Heap. In pratica, è la sua voce, ma senza che lei debba cantare. Se ci penso troppo, mi sembra una di quelle situazioni in cui inizi a dubitare di esistere: tipo, se la sua voce canta senza di lei, io sto leggendo questo articolo o è qualcun altro che lo fa per me?

La cosa interessante – e qui la mia ipocondria intellettuale trova un po’ di sollievo – è che tutto è stato fatto con il massimo rispetto del copyright. Jen dice di aver creato un nuovo standard etico. Bene, finalmente un’IA che non cerca di rubarti l’anima… per ora.

Ma aspettate, perché non finisce qui. Ogni traccia generata da questa IA viene immediatamente timbrata su una blockchain, con tanto di orario e firma crittografica. In teoria, è una garanzia che nessuno possa rubarti l’opera. In pratica, io ho ancora problemi a ricordare le password, quindi non so bene come gestirei una blockchain. Heap dice che è un’opportunità straordinaria per i musicisti: finalmente possono costruire un database di opere che appartiene solo a loro. Io mi chiedo: ma chi ci tiene questo database? Un’IA con il maglione di cui sopra?

Dovete sapere che questa non è la prima volta che Imogen Heap si cimenta con tecnologie avanzate. Ha già inventato guanti che ti permettono di fare musica muovendo le mani (io ne avrei distrutti almeno tre paia), una piattaforma blockchain per i musicisti e, recentemente, un’IA biografica chiamata Mogen. Sì, ha creato un’IA basata su se stessa per collaborare nei suoi concerti. Non so voi, ma io a volte faccio fatica a collaborare con me stesso, figuriamoci con una versione virtuale di me.

Heap sogna un futuro in cui musicisti di tutto il mondo lavorano insieme per creare modelli IA condivisi, etici e creativi. La sua visione è bellissima, ma mi fa venire il dubbio: se l’IA può fare tutto questo, perché io continuo a non riuscire a programmare il microonde?

In conclusione – e non è una vera conclusione perché mi lascia con mille domande – siamo di fronte a un mondo musicale completamente nuovo. E, come sempre, è un mix di meraviglia, ansia esistenziale e tecnologia che, se ci pensi troppo, ti fa venire voglia di sdraiarti in posizione fetale e ascoltare un vecchio vinile. O un brano generato da StyleFilter.


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