La storia di “The Forbidden Garden” di Simon Parkin, intreccia una delle più straordinarie vicende scientifiche e umane della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1941, mentre i nazisti circondavano Leningrado, una comunità di scienziati del Plant Institute si trovò costretta ad affrontare un dilemma devastante: cedere alla fame e consumare gli inestimabili semi raccolti oppure sacrificarsi per proteggerli, in nome di un futuro postbellico incerto ma essenziale. Questi semi, simbolo della speranza per l’agricoltura sovietica, rappresentavano un potenziale strategico che, nel pensiero del governo sovietico, avrebbe potuto garantire alla Russia una posizione di assoluta superiorità alimentare e agricola.

Creato nel 1924, l’Istituto per le Piante dell’URSS, con a capo il celebre genetista Nikolai Vavilov, era nato con un obiettivo ambizioso: accumulare la più vasta collezione mondiale di semi, comprendendo varietà di piante provenienti da ogni angolo del globo. Questa visione, però, si scontrò ben presto con la realtà della politica interna. Vavilov, che era visto come una minaccia dall’establishment staliniano, fu incarcerato, vittima delle purghe. L’istituto, pur privo della sua guida, continuò la sua missione, scontrandosi con la brutalità della guerra.

All’assedio di Leningrado – uno degli episodi più cruenti del conflitto – i membri della “piccola e traumatizzata comunità” dell’istituto si ritrovarono sotto costante bombardamento, con temperature che scendevano fino a 40 gradi sotto zero. La loro dedizione andò oltre l’istinto di sopravvivenza: per giorni, settimane e mesi, sfidando la fame e le condizioni devastanti, gli scienziati si rifiutarono di consumare i semi. Fra loro, esperti di specie vegetali come piselli, avena e mele, con uno spirito di sacrificio e un forte senso del dovere verso il futuro della biodiversità agricola. Per sopravvivere all’inverno estremo, impararono persino a difendere l’edificio dalle bombe incendiarie, rimuovendole dai tetti nel minor tempo possibile, proteggendo al contempo l’inestimabile patrimonio conservato.

Parkin, collaboratore del New Yorker, narra questo periodo con una prosa incisiva e accattivante, riportando alla luce un momento oscuro ma anche eroico nella storia della scienza e della guerra. Il sacrificio degli scienziati di Leningrado si rivela così una testimonianza della straordinaria resilienza umana, una lezione di dedizione e di speranza, che trascende la brutalità del conflitto per proiettarsi verso un ideale più alto: la salvaguardia della biodiversità e la preservazione del patrimonio agricolo mondiale.