Le recenti elezioni presidenziali hanno portato a un dibattito vivace su come la polarizzazione politica possa influenzare il mondo della tecnologia, in particolare nell’epicentro dell’innovazione: la Silicon Valley. Il settore tecnologico si ritrova diviso tra investitori di idee opposte, sollevando una domanda inquietante: potrebbe la Silicon Valley frantumarsi in fazioni di capitalisti di rischio che rifiutano di collaborare a causa delle loro convinzioni politiche? Eppure, osservando da vicino, è difficile credere che questo scenario estremo diventerà realtà.

Non c’è dubbio che le tensioni siano palpabili. Figure di spicco come Elon Musk, sostenitore di Donald Trump, e Vinod Khosla, appassionato supporter di Kamala Harris, hanno spesso fatto emergere dissapori durante le campagne elettorali.

E l’umore nella Silicon Valley post-elettorale non pare propenso alla riconciliazione. Un esempio significativo è quello della capitalista di rischio Nichole Wischoff che, con un post su X, ha attirato critiche da chi la riteneva eccessivamente schierata, generando reazioni immediate tra i fondatori di startup che minacciavano di boicottarla.

Eppure, è raro che queste “liste nere” politiche si concretizzino in un mondo in cui i rapporti d’affari si basano principalmente sulla fiducia personale e sulla qualità delle relazioni. Tradizionalmente, evitare qualcuno nel mondo del venture capital non è una questione politica, ma più spesso legata alla personalità o all’integrità percepita di quella persona. Questo atteggiamento pragmatico prevale, poiché una lista nera motivata politicamente si rivelerebbe inevitabilmente dannosa per gli affari, restringendo le opportunità e frammentando un mercato già competitivo.

Una dimostrazione di come il profitto possa avere la meglio sulle posizioni ideologiche è evidente se guardiamo indietro al caso del finanziamento saudita dopo l’assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi nel 2018. Dopo una breve fase di rifiuto etico, il capitale mediorientale è tornato a fluire nella Silicon Valley. Analogamente, in tempi difficili, come l’attuale rallentamento degli investimenti, è improbabile che le risorse finanziarie vengano respinte a causa di visioni politiche contrastanti.

Hunter Walk, partner di Homebrew e sostenitore di Harris, ha sottolineato che il suo fondo continuerà a collaborare con chiunque, indipendentemente dalle differenze politiche. Walk rappresenta l’orientamento realistico di una fetta di investitori per cui il successo delle operazioni supera le divergenze ideologiche. “Non mi interessa passare il test di purezza imposto da chi è così radicalmente schierato,” ha dichiarato, riaffermando l’impegno a mantenere aperte le porte della collaborazione.

In parallelo, il settore televisivo statunitense sta vivendo una fase di fermento che potrebbe vedere importanti fusioni, spinte dall’auspicio di una nuova politica più favorevole alle acquisizioni e alle collaborazioni strategiche. Il CEO di Warner Bros. Discovery, David Zaslav, ha pubblicamente espresso la necessità di consolidamento per semplificare l’esperienza dell’utente, stanco di cercare contenuti su innumerevoli piattaforme. Anche il CEO di Comcast, Michael Cavanagh, ha lasciato intendere che la società potrebbe separare alcuni asset per agevolare le opportunità di fusione. E Christopher Ripley di Sinclair ha parlato di una “nuvola normativa” che sembra sollevarsi, aprendo la strada a possibili acquisizioni.

Eppure, ricordiamo che anche l’amministrazione Trump non è stata sempre accomodante con le fusioni: l’esempio della lunga battaglia legale per bloccare l’acquisizione di Time Warner da parte di AT&T, conclusasi senza successo, rimane fresco nella memoria. Nonostante queste complessità, le speranze di consolidamento dell’industria televisiva riflettono la necessità di competere in un panorama mediatico sempre più frammentato e costoso da gestire in modo indipendente.

In definitiva, tanto nella Silicon Valley quanto nel settore dei media, il capitale e l’efficienza sembrano destinati a prevalere sulle divergenze politiche. La politica può infiammare gli animi, ma è improbabile che arrivi a compromettere i meccanismi essenziali di settori che, per prosperare, devono rimanere uniti e pronti a cogliere ogni opportunità di crescita.