Trump Media & Technology Group, società madre di Truth Social e quotata al NASDAQ sotto il simbolo DJT, ha suscitato polemiche per aver delegato parte del proprio lavoro tecnologico all’estero, precisamente in Messico. Mentre Donald Trump continua a promuovere la sua filosofia “America First” nella campagna presidenziale, le recenti rivelazioni di ProPublica mettono in discussione la coerenza di questo approccio all’interno della sua stessa azienda.

Il reportage evidenzia come Trump Media abbia incaricato una società di reclutamento per assumere lavoratori stranieri, specializzati in codifica e altri compiti tecnici. Sebbene l’esternalizzazione dei servizi IT non sia un fenomeno nuovo nel settore tecnologico, l’ironia del coinvolgimento di un’entità legata a un personaggio politico che ha a lungo criticato questa pratica non è passata inosservata.

Una fonte interna ha confermato a ProPublica che il personale di Trump Media ha espresso un forte malcontento, ritenendo che l’azienda stesse violando i principi di “America First”. In una lettera di denuncia inviata al consiglio di amministrazione lo scorso mese, i dipendenti hanno criticato pesantemente la gestione del CEO Devin Nunes, accusandolo di preferire il lavoro straniero a scapito degli americani. Le accuse sono gravi: i dipendenti affermano che Trump Media abbia scelto consapevolmente di privilegiare una forza lavoro esterna anziché investire su professionisti nazionali, accusando così l’azienda di “America Last.”

Le accuse verso il CEO Devin Nunes non si fermano qui. Nunes, ex membro del Congresso Repubblicano della California, è al centro delle critiche per la sua presunta “severa cattiva gestione” della compagnia. I dipendenti lo accusano di non aver rispettato le promesse della mission aziendale, dando priorità a contratti esteri e trascurando il valore aggiunto dei lavoratori americani. Una situazione simile era già emersa ad agosto, quando ProPublica aveva rivelato che Trump Media si era affidata a una società nei Balcani per il reclutamento di manodopera a basso costo.

Donald Trump, che detiene circa il 60% delle azioni di Trump Media, non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali riguardo alla questione. Il portavoce dell’azienda ha confermato l’utilizzo di forza lavoro messicana, ma non ha fornito ulteriori dettagli in risposta alle richieste di commento. L’intera vicenda rischia di gettare ombre sulla coerenza del messaggio politico di Trump, sollevando domande sull’effettivo impegno dell’azienda nel supportare i lavoratori americani.

Questo scenario mette in evidenza una contraddizione potenzialmente dannosa per l’immagine dell’ex presidente, che ha fondato gran parte della sua identità politica sulla difesa del lavoro americano.


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