Immaginatevi una scena da film. Un teatro pieno di magnati della finanza e della tecnologia, tutti radunati in una lussuosa sala di Riyadh, Arabia Saudita, per discutere di… beh, di come dominare il mondo. Benvenuti al Future Investment Initiative, affettuosamente noto come “Davos nel deserto,” dove Elon Musk, Masayoshi Son e una schiera di CEO delle più potenti aziende globali si scambiano sorrisi, strette di mano e promesse di un futuro in cui i robot probabilmente ci sostituiranno. L’intero evento, sfarzoso e surreale, ricorda il sogno di un dittatore futurista, o di un autore di fantascienza col senso degli affari.
Questa volta, la star era l’Intelligenza Artificiale, l’IA, questa entità che ormai ispira ogni sorta di sensazione: dall’entusiasmo all’angoscia, e spesso entrambe nello stesso istante. Larry Fink di BlackRock, uno che di soldi se ne intende, ha annunciato con tono grave che l’IA sta per innescare un boom degli investimenti, come se fosse una verità universale, o almeno quanto basta per farci controllare il portafoglio azionario in preda al panico.
E poi arriva Jack Hidary, un tipo di Alphabet AI, che in puro stile da scienziato pazzo ci regala il mantra: “L’IA o la morte.” Non c’è tempo per i ripensamenti o i dubbi: qui si va avanti con la sicurezza di chi ha in mano il futuro e sa che non sarà quello in cui tutto andrà a rotoli.
Elon Musk: L’Avatar di un Futuro Pieno di Robot e Marte
Elon Musk, che da buon imprenditore visionario ogni tanto si trasforma in profeta, si è collegato virtualmente per farci sapere che entro il 2040 ci saranno più robot umanoidi che esseri umani. D’accordo, non so voi, ma l’idea di un mondo popolato da robot a buon mercato suona più come un incubo distopico che un idillio. Musk, però, ci crede: “Supponendo che siamo sulla giusta strada dell’IA, penso che vivremo in un futuro di abbondanza.” Certo, basta che non ci dimentichiamo come programmare queste macchine in modo che non diventino le nostre nuove, e più economiche, figure genitoriali.
E poi, come da copione, Musk ci offre una sua chicca politica: sostiene Donald Trump, e non perché gli piaccia fare battute satiriche, ma perché crede davvero che Trump possa portarci su Marte. D’altronde, per uno che vede la burocrazia americana come il più grande ostacolo alla colonizzazione spaziale, la promessa di un presidente che spinge sull’acceleratore interplanetario è irresistibile.
Ben Horowitz: Attenti ai Colpi di Scena nell’Intelligenza Artificiale
Ora, passiamo a Ben Horowitz, che ha portato un messaggio di cautela in mezzo a tanto entusiasmo. Ben, uno degli uomini più pacati e ironici della Silicon Valley, ha tracciato un parallelo tra l’IA e la crisi della larghezza di banda del 1999: oggi abbiamo una fame di potenza di calcolo che neanche nei film di fantascienza. Ma proprio come allora, i colli di bottiglia tecnologici cambiano rapidamente. Se quest’anno abbiamo visto i prezzi dei chip Nvidia dimezzarsi, chi può dire cosa succederà ai data center strapieni di debiti se i prezzi crollano? In breve, se state pensando di investire, non scordatevi di tenere i piedi per terra… e un portafoglio di riserva.
Masayoshi Son: Un Uomo con una Missione da Supereroe
E poi c’è Masayoshi Son, il CEO di SoftBank, un po’ scienziato, un po’ supereroe. Son ha dichiarato che sta accumulando risorse per il suo prossimo grande investimento: una superintelligenza artificiale che, se tutto va bene (o male, dipende dai punti di vista), sarà più intelligente dell’uomo entro il 2035. Di per sé, è un’idea che ci si aspetterebbe da un personaggio di Philip K. Dick, ma Son parla con una serietà e una calma che quasi ci convincono. Non ci dice dove investirà quei miliardi, ma lascia intendere che l’IA e la robotica daranno vita a un prodotto rivoluzionario, probabilmente qualcosa che ci farà rimpiangere di non aver vissuto in epoche meno avanzate.
Il Public Investment Fund (PIF): Il Grande Giocatore Silenzioso
Nel frattempo, dietro le quinte, si muove il Public Investment Fund dell’Arabia Saudita, l’immenso fondo sovrano che ormai vale più di 900 miliardi di dollari. Questo fondo ha un ruolo fondamentale nella strategia di sviluppo saudita, e Yasir Al-Rumayyan, il suo governatore, ha annunciato che il PIF ridurrà la percentuale dei suoi investimenti internazionali. No, nessun dramma: significa solo che ora una fetta maggiore del denaro rimarrà a casa, mentre il PIF cerca di rafforzare l’economia saudita. D’altronde, con investimenti in aziende come Uber e SoftBank, hanno già dato un bel colpo alla scena internazionale.
Ma ecco il vero tocco di classe: i sauditi vogliono che i fondi americani investano anche nel loro paese. Con eleganza e astuzia, hanno fatto capire che per ogni dollaro ricevuto, è gradito un contro-investimento nelle startup locali. Certo, non è proprio un ultimatum, ma è evidente che stiamo entrando in una nuova era in cui i fondi sauditi non si limitano più a scrivere assegni ma vogliono anche qualcosa in cambio.
Come una “commedia assurda in tre atti”: il primo in cui si decide che l’IA cambierà il mondo, il secondo in cui si afferma che ci sarà un futuro di abbondanza, e il terzo in cui si scopre che i veri vincitori sono i sauditi, che ora hanno un posto al tavolo più importante del mondo finanziario.
E per noi, comuni mortali, resta solo da sperare che quando i robot umanoidi prenderanno il controllo, avranno almeno un po’ di senso dell’umorismo.