Il Washington Post, testata storica con il motto “Democracy Dies in Darkness,” ha annullato all’ultimo minuto l’endorsement per Kamala Harris come candidata alla presidenza. La scelta, originariamente promossa dai membri del consiglio editoriale Charles Lane e Stephen W. Stromberg, è stata fermata dall’intervento diretto di Jeff Bezos, proprietario della testata. In sostituzione, il quotidiano ha pubblicato un editoriale firmato da Will Lewis, l’attuale CEO e già collaboratore di Rupert Murdoch, dichiarando la decisione di non sostenere alcun candidato.
Nell’editoriale, Lewis ha giustificato la scelta con un riferimento al 1960, quando il Post decise di non appoggiare nessuno tra Kennedy e Nixon. “Questa decisione potrebbe essere vista come un tacito endorsement per uno dei candidati o una condanna per l’altro, ma noi la interpretiamo come un segnale dei valori del Post,” ha scritto. Tuttavia, molti si chiedono chi rappresenti esattamente il “noi” nell’affermazione di Lewis, lasciando il dubbio su un coinvolgimento diretto o indiretto di Bezos stesso.
Non è la prima volta che un proprietario interviene in una decisione editoriale di tale portata. Anche il Los Angeles Times, sotto la guida di Patrick Soon-Shiong, aveva bloccato un endorsement per la Harris, provocando le dimissioni del direttore editoriale in segno di protesta. Di fronte a queste interferenze, il sindacato del Washington Post ha espresso “profonda preoccupazione” per quella che viene percepita come una violazione dell’autonomia redazionale. Anche lettori e collaboratori, tra cui Robert Kagan, hanno manifestato il loro disappunto annullando abbonamenti e dimettendosi.
L’accaduto rivela un retroscena complesso: Bezos è coinvolto con Amazon in numerosi contratti con il governo degli Stati Uniti, tra cui un accordo da 10 miliardi di dollari con la NSA e uno da 3,4 miliardi con la NASA. Marty Baron, ex direttore esecutivo del Post, ha definito l’accaduto “un momento di oscurità che rischia di ferire la democrazia”, sottolineando che l’episodio potrebbe incoraggiare future intimidazioni verso i media da parte di attori politici.