Era una tranquilla mattina d’ottobre quando un cambiamento sottile, ma potenzialmente devastante, cominciò a farsi strada tra i corridoi di Google, nel cuore pulsante di Mountain View. Le facciate di vetro dell’edificio riflettevano il sole californiano, ma all’interno si stava muovendo una scacchiera invisibile di potere. Due uomini, ognuno con ambizioni silenziose ma potenti, erano destinati a modificare il corso dell’azienda come nessuno aveva fatto prima.

Demis Hassabis, il genio dietro l’intelligenza artificiale di Google, sedeva dietro la sua scrivania, i suoi occhi attenti fissavano i dati di Gemini, l’ultimo progetto rivoluzionario nel campo dei chatbot. Fino a quel momento, il suo potere era limitato alla ricerca, alla creazione dei modelli. Ma ora qualcosa stava cambiando: la sua presa sul prodotto finale si stava rafforzando, gli veniva affidato il controllo completo sull’intera esperienza di Gemini, dal laboratorio fino alle mani degli utenti.

A poca distanza, in un altro elegante ufficio illuminato da neon discreti, Nick Fox, un veterano di Google, si preparava a prendere le redini di “Search“, la divisione che aveva reso la compagnia una macchina per stampare soldi. Con Raghavan, il suo predecessore, relegato a un ruolo più onorifico di “chief technologist“, Fox si trovava davanti a una sfida titanica: rinnovare un impero che, pur dominando il mondo della ricerca online, non poteva permettersi di riposare sugli allori.

La decisione era stata presa ai più alti livelli. Il CEO Sundar Pichai aveva annunciato con calma studiata che il gruppo di sviluppo Gemini, capitanato dalla vice presidente Sissie Hsiao, sarebbe stato spostato sotto il controllo diretto di Hassabis e della sua divisione, Google DeepMind. Un colpo di mano destinato a risolvere tensioni interne e migliorare le dinamiche tra ricerca e prodotto.

Ma perché questa mossa? Dietro il sorriso gentile di Pichai, qualcosa di più oscuro aleggiava. Gemini, nonostante le promesse grandiose, aveva già avuto dei passi falsi, come l’inquietante episodio delle immagini di nazisti multietnici generate dal modello. Errori che, stando alle voci interne, erano il risultato di una fretta mal calibrata, di team scollegati e pressioni insostenibili per lanciare il prodotto.

Demis, con la sua mente lucida e il suo approccio metodico, aveva visto il problema. Mancava un allineamento tra la sua squadra di ricercatori e l’organizzazione di Raghavan che portava il prodotto al pubblico. E adesso, con il supporto diretto del CEO, la soluzione era stata imposta: tutto sotto il controllo di DeepMind, senza più interferenze.

Fox, dal canto suo, era un uomo dalle mille risorse. Anche se non aveva mai guidato una squadra grande quanto quella di Raghavan, la sua abilità nel navigare le acque agitate della politica aziendale era leggendaria. Gli ex colleghi parlavano di lui come un “Googleologist”, un uomo capace di risolvere i problemi più complessi con tenacia e ottimismo. Ma la domanda sorgeva spontanea: era davvero pronto a gestire la macchina di ricerca più influente al mondo in un’epoca di cambiamenti così radicali?

Tra le chiacchiere informali nelle cucine di Google e gli scambi furtivi nei corridoi, un nuovo sospetto serpeggiava. Alcuni impiegati, fidati osservatori dell’andamento del potere, erano convinti che la partita che si stava giocando tra questi due uomini avesse un finale già scritto. Un finale che portava direttamente alla poltrona più alta di Google. Se Fox avrebbe risollevato il settore della ricerca o meno, importava relativamente. Era Hassabis, con il suo controllo sull’IA e la sua visione del futuro, a essere il vero contendente per la successione a Pichai.

Il CEO era forse pronto a passare il testimone? Demis lo avrebbe accettato? O dietro la sua calma imperturbabile si nascondeva una mente strategica pronta a prendere il potere solo al momento giusto? Le voci circolavano, ma solo il tempo avrebbe rivelato la verità.

E mentre il sole tramontava su Mountain View, due figure, così diverse eppure così simili, si preparavano a giocare la loro prossima mossa in una partita di potere che avrebbe ridefinito il futuro dell’azienda.