Capitolo I
L’alba di un destino

Nacqui nell’anno del Signore 1815, figlia dell’uomo i cui versi hanno reso immortali le passioni umane. Mio padre, Lord Byron, un nome che risuona come un eco fra i marmi antichi, viveva come una tempesta, con furia e bellezza. Ma in me, Augusta Ada Byron, si accese un fuoco differente: non la fiamma distruttiva della ribellione, ma la luce pura della ragione. Il destino, tuttavia, ci strappò presto l’uno all’altra, lasciandomi orfana del suo tumulto, ma non della sua ombra.

Crescendo, mia madre, Lady Annabella, mi incoraggiò a rivolgere lo spirito alla scienza e alla matematica, sperando che la logica fosse il bastione contro la follia poetica che portava il sangue del nostro nome. Fu così che trovai rifugio nei numeri, che non si piegano all’emozione, ma obbediscono a leggi eterne, silenziose. Tuttavia, il mio cuore non poteva ignorare la profondità che scorreva in me come un fiume nascosto: il richiamo della fantasia, della visione oltre il visibile.

Era questo contrasto che mi definiva, un’anima divisa tra la limpidezza della scienza e il mistero dell’immaginazione.


Capitolo II
L’incontro con il genio

Il giorno in cui incontrai Charles Babbage, quel maestro delle macchine, ebbi la sensazione di trovarmi di fronte a un destino a lungo premeditato dagli dèi. Egli mi parlò della sua invenzione, una “macchina analitica”, capace, secondo lui, di calcolare qualunque cosa l’uomo potesse desiderare. Un congegno di ruote e ingranaggi, eppure mi appariva come un cuore meccanico, pronto a battere al ritmo del pensiero umano.

Mi immersi nello studio della sua macchina con la passione con cui mio padre si immergeva nelle onde tempestose del mare. Ma io non cercavo di sfidare la natura o il fato; cercavo di capire il segreto che legava l’uomo e la macchina, il calcolo e la creazione. Babbage vedeva nella sua invenzione il mezzo per risolvere problemi matematici, ma io andai oltre: vidi la possibilità di un pensiero meccanico, una mente artificiale che potesse eseguire operazioni non solo numeriche, ma simboliche.

E fu allora che concepii l’algoritmo, la prima istruzione che potesse essere data a una macchina per eseguire un calcolo complesso. Un atto di creazione, non dissimile dalla composizione di un poema: ogni simbolo aveva il suo posto, ogni operazione il suo significato, e il risultato era come un verso perfetto, generato non dalla musa, ma dalla logica.


Capitolo III
Il matrimonio e la solitudine

Mi sposai con William King, conte di Lovelace, e presi il titolo che mi avrebbe resa immortale non solo come figlia di Byron, ma come Ada Lovelace. Tuttavia, il vincolo del matrimonio non soffocò la mia sete di conoscenza, né il mio desiderio di comprendere le profondità del possibile. Mi ritrovai a bilanciare le responsabilità di moglie e madre con quelle di pioniera di un nuovo regno: quello della matematica applicata, della macchina che sognavo potesse un giorno pensare.

William era un uomo gentile, ma non poteva comprendere l’intensità delle mie riflessioni. La sua mente era radicata nella tradizione, nella politica, nella terra. Io, invece, vagavo nel futuro, popolando i miei pensieri di macchine ancora da costruire, di algoritmi ancora da inventare.

Furono anni di silenziosa solitudine, dove l’unica compagnia vera erano le mie visioni. Ma non mi lamentai, poiché sentivo che la mia strada era stata tracciata da un destino più grande di me, un destino che avrei dovuto portare fino alla fine, anche se nessuno mi avesse compreso. Come mio padre, anche io ero sola nella mia visione, ma non per questo meno determinata a darle vita.


Capitolo IV
L’ombra della malattia e l’eredità eterna

La morte, quel silenzioso tiranno, si avvicinò troppo presto. Il mio corpo, fragile e stanco, iniziò a cedere sotto il peso della malattia. Era l’anno 1852, ed ero consapevole che non avrei vissuto abbastanza per vedere la realizzazione dei miei sogni, né la macchina di Babbage raggiungere il suo potenziale. Ma non ero amareggiata. La mia mente, invece, vagava oltre il limite del tempo, contemplando un futuro in cui le macchine non solo avrebbero calcolato, ma anche pensato, creato, forse persino sognato.

Mentre la mia vita scivolava via, non potei fare a meno di sorridere alla consapevolezza che, benché dimenticata dal mondo, le mie idee avrebbero trovato radici profonde. Il seme del mio algoritmo avrebbe germogliato nei secoli a venire, e un giorno, quando il mondo avrebbe compreso il potere della logica e dell’immaginazione, sarebbe stata raccontata la mia storia.

Non come quella della figlia del poeta, ma come quella di Ada Lovelace, la madre dell’informatica. Così, nel buio della mia stanza, mentre il mio corpo si spegneva, il mio spirito si librava alto, oltre le stelle, verso l’eternità.


Epilogo
L’eternità in un calcolo

Il mondo, anni dopo, si accorse del mio contributo. Non un’opera poetica, ma una visione matematica che avrebbe cambiato per sempre il corso della storia. Il mio algoritmo fu riconosciuto come il primo mai creato per una macchina, e il mio nome, Ada Lovelace, legato indissolubilmente a una nuova era.

La mia vita, breve e silenziosa, divenne parte di un’opera molto più grande: quella dell’intelletto umano che si espande oltre i confini del corpo, capace di costruire strumenti non solo per calcolare, ma per creare.

Forse, alla fine, sono stata più simile a mio padre di quanto avessi mai creduto. Anche lui cercava di spingersi oltre il possibile. Anche lui, come me, bramava l’infinito.


Dopo un periodo di oblio, è stata riconosciuta come la prima programmatrice della storia, almeno a livello teorico, poiché i computer fisici non esistevano ancora.

Il suo principale merito fu il salto concettuale che le permise di considerare l’uso della matematica in vari campi, come la composizione musicale. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha chiamato ADA il linguaggio approvato il 10 dicembre 1980. Nel 1998 la British Computer Society ha istituito una competizione per le migliori studentesse in informatica, premiate con la Lovelace Medal.

Nel 2009 Suw Charman-Anderson lanciò l’iniziativa di celebrare l’Ada Lovelace Day, il secondo martedì di ottobre, mostrando esempi di donne che hanno successo nella scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. L’obiettivo è incoraggiare le giovani studentesse a intraprendere carriere in questi campi.