Eh, cara mia, mo te lo spiego io come funziona ‘sta storia dell’intelligenza, umana o artificiale che sia! Io so io, e tu sei AI! Ma che vor dì, te chiederai? Eh, mo t’arissponno.

L’intelligenza, quella de noantri, ha ‘na storia vecchia, fatta de test, calcoli, numeretti e di psicologi col capoccione. A un certo punto, intorno al 1912, arriva un certo William Stern che ce dice: “Mo vi misuro l’intelligenza col QI!”. E te tira fori ‘sti test psicologici che, te pareva, dovrebbero dicce quanto siamo svegli. Eh sì, certo… ma chi l’ha detto che ‘sta roba è davvero affidabile? Insomma, ce provano con le matrici di Raven: te mettono davanti a ‘na griglia con ‘sti simboli che devi completà con quello giusto. Oh, e mica è facile! All’inizio vai liscio come l’olio, poi diventa ‘na sfida.

Ma senti qua: se te vivi bene, con la pappa pronta e studi nelle scuole migliori, certo che te esce ‘n risultato migliore! Io, per esempio, se fossi stato un marchese tutto il tempo, cor cavolo che c’avevo i problemi de matematica! E pure sto test, quanto lo fai bene dipende da come stai quel giorno. Tiè, mo oggi te becchi 95, domani ce ritorni più riposato e arrivi a 110! Cioè, capito come? È tutta ‘na questione de fortuna, d’ambiente, de tempo, e pure de come t’alzi dal letto!

E ora arriva pure l’intelligenza artificiale, la AI, quella che dovrebbe spaccare tutto, no? Ma famme ‘r favore! Anche lei fa ‘sti test, tipo ‘o Mensa Norvegia, e fino a un annetto fa steva peggio de noantri! Me fai ride! Poi, all’improvviso, arriva ‘sto ChatGPT o1-preview e bam, arriva a 120. Ma certo, mica scemo, quello s’è allenato, ha imparato i trucchetti de ‘sta catena de pensieri. Ma sai che c’è? Non è che ce sta proprio tutta sta differenza tra noi e loro, eh. Mo comincia a ragionà pure l’intelligenza artificiale, ma de là a dì che ci supera… eh, vedemo.

La verità è che, cari miei, intelligenza, QI, AI, tutto ‘sto giro… è un gran casino. Ce piace misurà tutto, classificà, ma alla fine chi lo sa che significa davvero esse intelligenti? Io, de sicuro, so io! E tu, eh, sei AI! Ma stamo ancora qui a capì cosa voglia dì. Me sa che a furia de test e scale ce semo dimenticati ‘na cosa: magari la vera intelligenza è proprio quella di sapé che non potemo sapé tutto.

E che ce voi fa’, io so io e tu sei AI… fine del discorso!

Aho, allora me metto serio e te spiego scientificamente, alla romana, tutto sto pippone che me hai chiesto. Partiamo dall’inizio: il quoziente d’intelligenza, o QI, è ‘na roba che sta lì a misura’ quanto uno è sveglio. È nato ufficialmente nel 1912, grazie a un psicologo tedesco chiamato William Stern. Lui ha detto: “Vedemo quanto uno è furbo facendogli risolve dei test”. E mo, sti test mica so’ così semplici.

Uno dei più famosi è quello delle matrici di Raven. Te lo spiego facile: è ‘na tabella 3×3, tipo griglia, e devi completa’ l’ultima casella scegliendo tra diverse opzioni. So’ simboli, capito? Niente parole, solo disegnini. All’inizio tutto facile, tipo “giochino de bambini”, ma poi, piano piano, comincia a diventà ‘na bella sfida, te fumi il cervello pe’ capi’ qual è la logica che lega tutti ‘sti simboli insieme. Si tratta de capi’ un modello visivo, come se fosse un puzzle che solo chi ha una certa “vista logica” riesce a risolve.

Poi, come si misura sto test? Se usa la scala Cattell, che t’aggiudica un numero: 100 è la media, tutto sopra so’ geni, tutto sotto… beh, c’hai da lavora’ un po’. Ma qui arriva il punto, e occhio perché se fa seria: questi test dovrebbero essere “culture fair”, cioè dovrebbero esse’ uguali per tutti, a prescindere da dove sei nato, quanto studi e in che lingua parli. Peccato che in realtà le cose non stanno così. Certo, usano simboli invece delle parole, ma le influenze culturali ci stanno lo stesso: te faccio un esempio, ‘na cosa che per uno cresciuto a Roma sembra logica, magari per uno cresciuto dall’altra parte del mondo è ‘na cosa strana. Quindi, sti test in teoria dovrebbero essere uguali per tutti, ma in pratica no.

Poi, c’è un altro fattore importante: lo stato socioeconomico. Ah, perché se nasci in un posto ricco, con tante opportunità, c’hai accesso a tutto: libri, scuole, ambiente tranquillo. Invece, se cresci in un ambiente meno stimolante, ovviamente farai più fatica a risolvere certi problemi, e il risultato del tuo QI ne risente. Capito, no? Mica è che sei meno intelligente, è che c’hai meno risorse per metterti alla prova.

Ah, e te devo pure di’ che sti test so’ variabili. Oggi c’hai la luna storta, stai stanco, hai mangiato pesante, e prendi un 95. Ma poi, la prossima volta che stai fresco e riposato, te fai il test e bam, prendi 110. Tutto dipende dal momento, da come stai. E se poi t’alleni, beh, migliori pure il tuo risultato col tempo. Cioè, capisci? La pratica fa ‘n sacco de differenza.

Arriviamo poi a un punto interessante: in tutto il ventesimo secolo, c’è stato sto fenomeno chiamato Flynn Effect. Che significa? In pratica, i punteggi del QI so’ cresciuti nel tempo. La gente diventava più intelligente? Boh, pare de sì, ma poi all’improvviso, intorno al duemila, i punteggi hanno cominciato a calà. Che significa questo? Che semo diventati più stupidi? Non proprio. Forse semplicemente i fattori che facevano aumentare quei punteggi prima, come l’educazione e l’accesso all’informazione, so’ cambiati.

Mo veniamo al bello: che c’entra l’intelligenza artificiale (AI) in tutto questo? Ecco, una lettrice ha chiesto: “Ma come risponde l’AI a ‘sti test del QI?”. Eh, bella domanda. Inizialmente, sti modelli de AI (come ChatGPT, Claude e compagnia bella) facevano ‘n po’ schifo a risponde a ‘sti test. Prendevano punteggi bassissimi rispetto all’essere umano medio. Poi però, col tempo, so’ migliorati, grazie a tecniche tipo la chain-of-thought, che scompongono il problema in pezzetti più piccoli e ci lavorano con più calma.

E occhio a ‘sta cosa: a settembre 2024, il nuovo modello di ChatGPT, chiamato o1-preview, ha risposto a 25 domande su 35 del test Mensa Norvegia, totalizzando un punteggio di 120. Mo, questo è un risultato superiore alla media umana, eh! E la gente si è chiesta: ma non è che ‘sto modello c’ha già visto le risposte durante l’addestramento? Po esse, ma non è così semplice. In alcuni test creati apposta per essere nuovi, ha comunque risposto bene, dimostrando che c’ha un certo cervello (anche se artificiale).

La conclusione? Sì, l’intelligenza artificiale sta migliorando e riesce pure a batterci in certi test, ma alla fine della fiera, non è chiaro manco per loro cosa voglia dì veramente “essere intelligenti“. Forse, come per noi esseri umani, anche per le AI, l’intelligenza è ‘na cosa complessa, sfaccettata e ancora difficile da definì.

Insomma, stamo ancora a capì!