L’Italia, pur avendo un discreto numero di startup e di imprese specializzate in Intelligenza Artificiale, che generano, secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, un giro d’affari di circa 760 milioni di euro di fatturato nel 2023 e una solida rete di istituzioni accademiche che formano i talenti necessari, si trova ad affrontare la sfida del “brain drain” a causa della mancanza di misure sistemiche per promuovere le competenze nazionali nel settore. E’ questo in sintesi il quadro delineato da Antonio Baldassarra, CEO di Seeweb – un’azienda italiana impegnata nel fornire infrastrutture per l’Intelligenza Artificiale – durante la sua testimonianza davanti alla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati nell’ambito dell’Indagine Conoscitiva sull’Intelligenza Artificiale.

Il “brain drain“, letteralmente “drenaggio di cervelli”, è un fenomeno che si verifica quando un Paese perde i suoi talenti migliori e più qualificati, spesso a causa di migliori opportunità di lavoro o di studio all’estero. Un esodo, quello delle risorse umane altamente qualificate, che può causare una significativa perdita di competenze e conoscenze nel paese di origine, riducendo le capacità di innovazione e lo sviluppo economico a lungo termine.

Baldassarra ha evidenziato come spesso, nel dibattito pubblico, si concentri l’attenzione solo sugli aspetti negativi dell’Intelligenza Artificiale, come le questioni legate alla privacy, alla cybersecurity e alla concorrenza, trascurando il valore delle aziende italiane attive nella filiera dell’AI, come i fornitori di servizi cloud. Le istituzioni e la pubblica amministrazione che già utilizzano questa tecnologia e ne faranno un uso sempre più ampio in futuro, possono rappresentare da questo punto di vista un’enorme volano di crescita per le imprese italiane, se la transizione digitale viene gestita saggiamente.

Attualmente, la forza lavoro specializzata nell’AI e nelle materie STEM formata nelle Università italiane finisce spesso per essere attratta dalle cosidette Big Tech, le aziende tecnologiche globali più note. Per invertire questa tendenza, Baldassarra suggerisce di sostenere le industrie locali anche attraverso la commessa pubblica di servizi digitali, in modo da ampliare le competenze in Italia, rendendo il Paese più attrattivo per gli investitori e i lavoratori della conoscenza, e generando ricadute positive sull’occupazione.

Tuttavia, affinché ciò avvenga, è necessario lavorare su due fronti. Da un lato è fondamentale un cambio di approccio da parte delle Università, che attualmente formano i talenti per lavorare principalmente su sistemi proprietari sviluppati dalle grandi aziende tecnologiche internazionali, tralasciando magari altre realtà.

Dall’altro, è altrettanto importante che la crescita delle imprese italiane venga sostenuta attraverso programmi di public procurement mirati, che accelerino la produzione locale di soluzioni innovative per l’erogazione dei servizi pubblici. Come già fatto da altri Paesi europei, conclude Baldassara, “anche l’Italia può introdurre misure selettive per garantire alle PMI dell’innovazione attive nell’Intelligenza Artificiale di poter ricevere adeguate porzioni di incentivi per continuare a crescere grazie all’importante volano costituito dalla commessa pubblica”, senza tralasciare il peso della burocrazia che spesso penalizza le aziende più piccole rispetto ai grandi player globali.

Occorrerebbe, aggiungiamo noi, l’adozione (urgente) di una politica industriale che miri allo sviluppo delle imprese italiane con l’obiettivo di ridurre il divario dell’Italia con gli altri Paesi europei e gli Stati Uniti.