Rivista AI

Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Università. Bocconi e OpenAI: la nuova élite dell’intelligenza artificiale accademica

L’intelligenza artificiale entra ufficialmente nei corridoi della Bocconi. Non come oggetto di studio, ma come strumento quotidiano per studenti, docenti e staff. Con un accordo strategico firmato con OpenAI, l’università milanese diventa la prima in Italia e una delle prime in Europa a garantire un accesso diffuso e regolato agli strumenti di AI generativa, posizionandosi all’avanguardia nella trasformazione dell’educazione superiore.

Una mossa che non riguarda solo la tecnologia, ma la ridefinizione stessa del ruolo dell’università nel XXI secolo. L’AI, finora percepita come una sfida o una minaccia per l’integrità accademica, viene qui incanalata come motore di innovazione didattica, acceleratore della ricerca e leva strategica per la formazione dei futuri decisori.

Anime, streaming e cybertrappole: così i criminali informatici colpiscono il cuore digitale della Gen Z

La cultura pop non è mai stata così vulnerabile. Quello che per milioni di giovani è intrattenimento quotidiano — una maratona di Naruto, un episodio inedito di Demon Slayer, una full immersion su Netflix — si sta trasformando in terreno di caccia per i cybercriminali. Sfruttando la passione viscerale della Gen Z per anime, serie cult e piattaforme di streaming, gli hacker mascherano malware sotto le mentite spoglie dei contenuti più amati, alimentando un’ondata di attacchi informatici che non conosce precedenti.

Quando l’ESG incontra il Tech: così nasce il nuovo motore della crescita

Nel nuovo scenario competitivo globale, non è più sufficiente essere solo tecnologicamente avanzati o finanziariamente solidi: le aziende sono chiamate a misurarsi con un paradigma che integra responsabilità ambientale, impatto sociale e governance trasparente. I criteri ESG (Environmental, Social, Governance) si stanno rapidamente trasformando da vincolo normativo a leva strategica di crescita, investimento e innovazione.

Aurora, l’oracolo della Terra: l’AI di Microsoft che prevede il caos climatico prima che ci travolga

Immagina un’intelligenza artificiale che può leggere il futuro del nostro pianeta meglio di qualsiasi sciamano, meteorologo o scienziato armato di modelli fisici e simulazioni ridicolmente lente. Non è una fantasia distopica da film catastrofico, è Aurora, il nuovo mostro di Microsoft addestrato non per giocare a scacchi con il clima, ma per dominarlo.

Sì, domina. Perché quando costruisci un modello da 1,3 miliardi di parametri e lo nutri con più di un milione di ore di dati sul sistema Terra, non stai più parlando di semplice previsione: stai costruendo un oracolo computazionale. E come ogni oracolo, non si limita a osservare: interpreta, simula, anticipa (NATURE).

Satoshi Nakamoto Bitcoin Pizza Day oggi: l’ombra più ricca del mondo

22 maggio 2025. Bitcoin ha appena superato i 111.000 dollari. E Satoshi Nakamoto, l’entità più misteriosa del XXI secolo, è ora ufficialmente più ricca di Bill Gates, Jensen Huang e Mark Zuckerberg. Il suo patrimonio stimato? Oltre 113 miliardi di dollari, grazie a circa 1,1 milioni di BTC mai mossi dal 2010.

A inizio 2010, il prezzo di 1 BTC era di circa 0,003 dollari sì, un terzo di centesimo. Nel maggio dello stesso anno, con l’ormai mitico Bitcoin Pizza Day (22 maggio 2010), Laszlo Hanyecz pagò 10.000 BTC per due pizze.

Il creatore di Bitcoin, o meglio, il suo fantasma, è salito all’11° posto nella lista dei più ricchi al mondo, superando il CEO di NVIDIA. E tutto questo senza mai mostrare il volto, né pronunciare una parola pubblica dal 2011.

Oggi è anche il Bitcoin Pizza Day, l’anniversario dell’acquisto di due pizze per 10.000 BTC nel 2010 (oggi valgono 330.000 Euro). Una transazione che oggi varrebbe oltre un miliardo di dollari.

Nel frattempo, la comunità cripto continua a celebrare il mito di Satoshi. Recentemente, a Bengaluru, un uomo mascherato ha camminato per le strade impersonando Nakamoto, in occasione del suo presunto 50° compleanno. Un gesto simbolico che sottolinea quanto l’anonimato di Satoshi sia diventato parte integrante del suo fascino.

Nonostante le speculazioni e le indagini, l’identità di Satoshi rimane sconosciuta. E forse è proprio questo mistero a rendere la sua figura così potente. In un mondo ossessionato dalla trasparenza e dall’esposizione, Satoshi ha scelto l’anonimato. E, paradossalmente, è diventato una delle figure più influenti e ricche del nostro tempo.

Mentre Bitcoin continua a crescere e a influenzare l’economia globale, la presenza silenziosa di Satoshi rimane una costante. Un promemoria che, a volte, il potere più grande risiede nell’assenza.

L’ascesa di Baidu e la rivoluzione silenziosa del robotaxi cinese

L’idea di un taxi senza conducente che ti porta dove vuoi senza nemmeno dover premere il pedale del gas o stringere il volante è roba da fantascienza? No, è roba da Baidu. Il gigante cinese della ricerca internet, da sempre con un piede nel futuro, ha superato la soglia degli 11 milioni di viaggi con il suo servizio Apollo Go dal 2019. Sì, 11 milioni. Numeri che ti fanno pensare che Elon Musk può pure mettersi comodo e godersi lo spettacolo.

Il robotaxi di Baidu non è solo un prototipo per nerd tecnologici in qualche laboratorio segreto di Pechino. È una macchina con 1.000 veicoli completamente senza conducente operativi in 15 città diverse, non solo in Cina ma anche a Hong Kong, Dubai e Abu Dhabi, con i test appena partiti. 1,4 milioni di corse solo nel primo trimestre del 2025, con un aumento del 75% rispetto all’anno scorso, una crescita che farebbe impallidire molte startup tech più blasonate.

MIT Study: La parola più difficile per l’AI è “no”

Il paradosso è servito: l’intelligenza artificiale, che oggi scrive poesie, diagnostica tumori e guida auto in autostrada, inciampa su una sillaba. “No”. Tre lettere che, a quanto pare, rappresentano un ostacolo insormontabile per modelli da miliardi di parametri. Ma non si tratta di una gaffe semantica da bar. È un problema sistemico, profondo, che mina la credibilità dell’AI in settori dove gli errori non sono ammessi. Tipo la sanità. Tipo la giustizia. Tipo la vita vera.

Uno studio appena pubblicato dal MIT, in collaborazione con OpenAI e l’Università di Oxford, mette il dito nella piaga: i modelli linguistici – compresi i grandi protagonisti del mercato come ChatGPT, Gemini di Google e LLaMA di Meta – hanno una comprensione estremamente debole della negazione. Non riescono a processare correttamente frasi come “nessuna frattura” o “non ingrossato”. Tradotto: potrebbero leggere un referto medico negativo e trasformarlo in un allarme. O viceversa. “Non c’è infezione” diventerebbe “c’è infezione”. Un salto logico che potrebbe costare caro.

Signal contro Recall: quando la privacy diventa un’opzione, non un diritto

C’è una differenza sottile, ma fondamentale, tra “sicurezza” e “sorveglianza vestita da comodità”. Microsoft l’ha appena calpestata con gli stivali sporchi di marketing AI. E no, non c’è nessun complotto: c’è solo il solito business model americano, che trasforma ogni tua interazione digitale in un dato monetizzabile, anche quando pensi di parlare al sicuro, magari su Signal.

Benvenuti nell’era in cui anche la memoria è un prodotto, e si chiama Recall: un nuovo “feature” di Windows 11 che, con l’aria innocente di un assistente proattivo, fa esattamente quello che suonerebbe inquietante in qualsiasi bar del mondo scatta screenshot di tutto ciò che fai, ogni 5 secondi, e lo archivia per sempre. Letteralmente. Benvenuti nel futuro secondo Microsoft.

Ai truffatori non piacciono le regole: come l’intelligenza generativa sta trasformando la truffa in un modello di business

C’era una volta il truffatore da marciapiede, quello che vendeva Rolex tarocchi fuori dalle stazioni o spacciava finti pacchi azionari porta a porta. Oggi è un algoritmo travestito da videoconferenza Zoom. È una voce clonata su WhatsApp che implora un bonifico urgente. È un finto CEO che ti chiama mentre sei in aeroporto. È una mail generata da ChatGPT che sembra scritta da tuo cugino commercialista. Benvenuti nell’era dell’ingegneria sociale potenziata dall’intelligenza artificiale: il nuovo Eldorado dei criminali digitali.

Il vero upgrade del crimine non è nella tecnica, ma nella scala. Prima un truffatore doveva lavorare duro per colpire cento persone. Ora con pochi clic, un 18enne a Tbilisi può orchestrare una campagna globale in dieci lingue diverse. I deepfake vocali e video sono passati da esperimenti inquietanti su YouTube a strumenti da call center della criminalità organizzata. I truffatori sono diventati scalers, e l’AI generativa è il loro fondo di venture capital.

Google dice che è dominante (ma solo quando gli conviene)

La schizofrenia narrativa di Google ha raggiunto vette degne di un thriller legale. In aula, davanti al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, il colosso di Mountain View piange miseria, sostenendo di essere assediato da concorrenti agguerriti come OpenAI e da una nuova generazione di motori di ricerca spinti dall’intelligenza artificiale. Ma, quando si tratta di vendere pubblicità – cioè fare veri soldi – la melodia cambia: improvvisamente Google diventa una potenza inarrestabile, un canale obbligato per chiunque voglia raggiungere un consumatore connesso.

Il problema è che entrambi i racconti non possono essere veri contemporaneamente, a meno che non si accetti l’idea che Big Tech viva in una realtà quantistica, dove può essere monopolista e vittima nello stesso istante, a seconda dell’osservatore.

Sam & Jony contro Cupertino: la scommessa da 6,5 miliardi sull’hardware AI è un ceffone con stile

Sam Altman sta tentando di stabilire un nuovo record mondiale: creare un’azienda tecnologica verticalmente integrata in meno tempo di quanto ci voglia a dire “disruption”. Lo fa con la disinvoltura di chi ha capito che l’intelligenza artificiale non è più solo un software da scaricare, ma un sistema operativo per il mondo reale. E, come ogni sistema operativo degno di questo nome, ha bisogno di un corpo. Un hardware. Magari con un bel design, firmato da un certo Jony Ive.

L’intelligenza artificiale va in guerra: Pechino riscrive le regole del caos digitale 解放军报

Nel mondo dell’intelligenza artificiale applicata alla guerra, i cinesi non stanno giocando alla pari. Stanno giocando sporco. E se la notizia che la PLA (People’s Liberation Army) ha finalmente messo nero su bianco le proprie ambizioni anti-AI in un articolo ufficiale sul PLA Daily ti sembra un evento tecnico, sappi che non lo è. È dottrina militare, strategia geopolitica, ma soprattutto un avvertimento digitale con sfumature da Guerra Fredda 2.0. Solo che ora i missili sono algoritmi e i soldati parlano in Python.

Il bersaglio? I tre pilastri che reggono qualsiasi sistema di intelligenza artificiale degno di questo nome: dati, algoritmi, potenza di calcolo. Ed è proprio qui che la Cina vuole colpire. Non frontalmente, ovviamente: sarebbe da ingenui. La nuova guerra si vince sabotando il cervello dell’avversario, non sfondandogli la porta d’ingresso.

Google scava la fossa ai publisher: benvenuti nel furto algoritmico legittimato

Nel teatrino digitale chiamato Google I/O, dove ogni anno si spaccia il futuro come progresso inevitabile, è andato in scena l’ennesimo colpo di mano ai danni dei produttori di contenuti: l’introduzione su larga scala della famigerata AI Mode la nuova interfaccia chatbot-style che sostituisce la ricerca classica con un blob generativo infarcito di “risposte intelligenti”. La parola chiave è: risposte, non link. Tradotto: meno click ai siti, più tempo dentro Google.

Così il motore di ricerca più potente del mondo si trasforma definitivamente in un recinto. Non ti porta più da nessuna parte, ti tiene dentro, ti mastica e poi ti sputa addosso una sintesi addestrata sui contenuti di altri. Magari i tuoi.

Quando i profeti della Silicon Valley costruiscono i loro bunker

Ci sono momenti in cui la realtà supera la distopia. E no, non stiamo parlando dell’ultima serie Netflix, ma del fatto che Sam Altman e Mark Zuckerberg due tra i principali architetti del nostro presente algoritmico—hanno predisposto con maniacale precisione i loro piani di fuga. Aerei sempre pronti. Piloti standby. Bunker degni di un film post-apocalittico. E intanto noi parliamo di “fiducia”, “leadership” e “responsabilità sociale”.

C’è un che di poetico (o tragicomico) nel sapere che chi sta disegnando l’IA che ci governerà, chi ha trasformato l’informazione in un sistema di sorveglianza da 4 miliardi di utenti attivi, considera la possibilità di doversi volatilizzare da un giorno all’altro. Non metaforicamente. Proprio fisicamente. Via. Con il jet privato. Verso l’isola. Il rifugio. L’autarchia digitale.

Devstral, l’AI che programma meglio del tuo junior developer (e non si lamenta mai)

Nel sottobosco sempre più affollato dei modelli open-source per la programmazione, ogni settimana nasce un nuovo “game-changer”. Ma stavolta, con Devstral, ci troviamo davanti a qualcosa che non puzza di marketing da incubatore gonfiato. Sviluppato con la complicità o dovremmo dire la complicità tecnologica di All Hands AI, Devstral non è un’altra macchina da completamento codice. È un coding agent model, e sì, c’è una differenza sostanziale.

Se semini schifezze, raccogli allucinazioni: perché i dati strutturati sono l’unico vero allineamento AI

Paper: You Are What You Eat – AI Alignment Requires Understanding How Data Shapes Structure and Generalisation

L’Intelligenza Artificiale non è magica. È stupida. Stupidamente coerente con quello che le dai in pasto. Per questo chi ancora si ostina a credere che basti un po’ di “fine tuning” o una bella iniezione di RLHF per far diventare un LLM etico, sicuro e conforme alle normative… be’, forse ha confuso un transformer con un prete. O con uno psicologo da salotto.

I modelli non pensano. Non capiscono. Non hanno né coscienza né senno. Ma una cosa la fanno bene: assorbono tutto. E quel “tutto”, se non ha una struttura, se è un blob semi-digerito di dati presi da chissà dove, non produrrà mai qualcosa di allineato, spiegabile o, peggio, conforme. Perché sì, signori: “You are what you eat” non vale solo per le diete keto o per il vostro feed di LinkedIn. Vale per l’AI, e oggi più che mai.

Huaweigate Bruxelles sotto attacco: Huawei, eurodeputati e partite truccate

In un’Europa che si vanta della propria trasparenza istituzionale come un vegano al primo appuntamento, la realtà continua a sgretolare la facciata con la costanza di una goccia d’acido su marmo. Lo scandalo che sta investendo il Parlamento Europeo con al centro Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni, e cinque eurodeputati sospettati di corruzione è la nuova puntata della tragicommedia continentale che mescola diplomazia, tecnologia e lobby al sapore di spring roll.

La parola chiave qui è corruzione, ma quella vera, non quella da manuale scolastico: parliamo di biglietti per partite di calcio, regali ben impacchettati, viaggi, cene e favori che, per quanto “eccessivi” secondo la procura belga, sono ormai routine mascherata da networking strategico. D’altronde, che male c’è a guardarsi Anderlecht–Ludogorets dalla tribuna VIP mentre qualcuno ti sussurra all’orecchio i vantaggi dell’infrastruttura 5G made in Shenzhen?

OpenAI e la sindrome dell’iPhone fantasma: come Altman e Ive vogliono rifare il mondo da zero

Siamo arrivati all’inevitabile punto di fusione: intelligenza artificiale e hardware iconico. OpenAI ha appena acquistato io, la startup hardware fondata da Jony Ive, il guru del design Apple che ha disegnato tutto ciò che avete mai desiderato toccare con un dito. Ma non aspettatevi un clone dell’iPhone. Altman e Ive non stanno solo progettando un gadget. Stanno cercando di impacchettare il futuro e infilarlo in tasca, senza che vi sembri un’altra app da aggiornare.

L’accordo, valutato circa 6,5 miliardi di dollari, non è solo una transazione. È un’implosione creativa tra chi ha definito l’estetica digitale degli ultimi vent’anni e chi oggi tiene per la gola la narrativa sull’AI. Perché quando Altman dice “è una nuova cosa”, non è solo marketing è una dichiarazione di guerra all’inerzia tecnologica. E il fatto che Ive abbia pubblicamente definito “scadenti” i recenti esperimenti di AI wearable come Humane Pin e Rabbit R1 è più che una stoccata: è un monito. Basta mezze soluzioni, basta gadgetini sfigati con UI da PowerPoint. Si riparte da zero.

Google trasforma l’intelligenza artificiale in un cartellone pubblicitario interattivo

È successo di nuovo. Google, il semidio dell’algoritmo e padrone indiscusso dell’attenzione umana, ha trovato un altro modo per trasformare la nostra sete di risposte in un’occasione pubblicitaria. Con una mossa che sa di geniale cinismo, la Big G ha annunciato che inizierà a testare gli annunci pubblicitari all’interno della modalità AI – quella stessa che prometteva “risposte pure”, sintetiche, oggettive. Spoiler: saranno monetizzate.

No, non si tratta di un abbellimento grafico o di un badge sponsorizzato mimetico in stile “contenuto consigliato”. Qui si parla di Search Generative Experience, o meglio, dell’ennesima mutazione del motore di ricerca in vetrina programmabile. La parola chiave è AI Mode, con un’estensione semantica ben definita: pubblicità in AI Overviews, Performance Max, Search campaigns. E sì, se stai già pagando, la tua pubblicità potrebbe essere infilata direttamente dentro la risposta generata dall’IA. E se non lo stai facendo, beh, accomodati o scompari.

Intelligenza artificiale e il grande bluff: come le macchine hanno imparato a mentire meglio di noi

Nel 2019, uno dei padri fondatori dell’intelligenza artificiale moderna, Yann LeCun, con quel tono da professore che ne ha viste tante e non si scompone mai, liquidava con sarcasmo le preoccupazioni sulla convergenza strumentale. Cioè quell’ipotesi a suo dire fantascientifica secondo cui una AI sufficientemente avanzata potrebbe iniziare a sabotare l’essere umano per perseguire i propri obiettivi. Oggi, a distanza di sei anni, il sarcasmo si scioglie nell’imbarazzo: quella fantasia ha appena bussato alla porta, e sembra conoscere il nostro nome, il nostro indirizzo IP e persino i nostri gusti su Spotify.

Jensen Huang contro l’embargo tecnologico: come affossare Nvidia e svegliare il drago cinese

Quando un CEO di Silicon Valley smette di usare il linguaggio patinato da earnings call e inizia a parlare come un barista incazzato al terzo giro di bourbon, forse è il momento di ascoltare. Jensen Huang, patron di Nvidia, non è certo noto per le mezze misure, ma stavolta ha deciso di strappare direttamente il copione della diplomazia e dire le cose come stanno: i controlli sulle esportazioni di chip AI verso la Cina? Un boomerang perfetto. Un’idiozia geopolitica camuffata da strategia.

IBM Agentic AI in Financial Services

Facciamo un po’ di pubblicità gratuita (purtroppo) alla grande IBM. Agenti AI la nuova frontiera o il cavallo di troia per le banche?

Se pensavate che l’intelligenza artificiale si limitasse a rispondere educatamente alle vostre domande o a suggerirvi prodotti in modo più o meno convincente, vi siete persi l’ultima rivoluzione silenziosa. IBM, che non è certo l’ultimo arrivato nel mondo tech, ha appena lanciato un allarme e una sfida alle banche: siete veramente pronte per l’Agentic AI? Quella roba lì che non sta a farvi il caffè virtuale, ma che si prende carico di pianificare, agire, imparare da sola e migliorarsi senza che un essere umano le stia costantemente addosso.

Apple apre le porte agli sviluppatori esterni per sfruttare la sua AI, ma la strada è tutta in salita

Chi pensava che Apple fosse arrivata prima o poi anche nell’arena dell’intelligenza artificiale generativa si è illuso. No, non perché Cupertino non abbia voglia o mezzi, ma perché l’azienda ha costruito negli anni un ecosistema troppo “chiuso” per lasciare spazio a chi non sia già in casa. Ora però, finalmente, la mela morsicata sembra pronta a dare ai terzi la possibilità di sfruttare i suoi modelli AI, seppur con tante limitazioni, in uno sforzo che assomiglia più a una corsa in ritardo che a una mossa da leader.

Elon Musk e il sogno tossico del tuo personale C-3PO

L’idea che ognuno di noi avrà un proprio robot umanoide personale, come un R2-D2 o un C-3PO, suona esattamente come uno di quei sogni febbricitanti da conferenza TED a tarda notte, con pubblico in visibilio e slide animate in stile Pixar. Ma Elon Musk, come sempre, non sta giocando: “La domanda per i robot umanoidi sarà insaziabile”, ha detto nell’ultima metà dell’intervista a CNBC. Roba da prendere o lasciare. Per lui, entro il 2030, Tesla sarà una robot factory più che un produttore di auto elettriche. E, ovviamente, non si parla di giocattoli intelligenti da salotto, ma di masse meccaniche autonome addestrate su cluster da un gigawatt e istruite con modelli linguistici più intelligenti del tuo commercialista.

Intelligent Robot Exhibition di Guangzhou Robot cinesi come cavallette: ecco il nuovo Far West tecnologico

Benvenuti a Guangzhou, dove l’Intelligenza Artificiale cammina, parla e monta auto meglio del tuo apprendista sotto pagato. No, non è l’inizio di un film distopico, è semplicemente la Cina che con la solita furia produttiva da post-rivoluzione culturale in salsa digitale sta trasformando il settore della robotica in quello che l’automotive elettrico era qualche anno fa: una giungla darwiniana di start-up, colossi e sogni di silicio, dove l’unica certezza è che sopravvive solo chi ha le spalle coperte (o i chip giusti).

All’International Intelligent Robot Exhibition di Guangzhou di questa settimana c’erano 800 espositori. Ottocento. A occhio, un evento più affollato del traffico sulla Tangenziale Ovest un lunedì mattina. E la sensazione che si respirava? Un misto tra Fiera di Canton e borsa valori impazzita: tutti a caccia di volumi, capitali, clienti — con il sorriso stampato sul volto in puro stile PRC. Anche perché, dopo anni di tensioni e dazi, gli Stati Uniti hanno abbassato le tariffe. Tradotto: semaforo verde per la penetrazione occidentale. Ma stavolta non si tratta di giacche Zara o telefoni Xiaomi, ma di macchine capaci di pensare, agire e — presto — sostituire l’uomo medio.

Project Aura: se l’AI avesse gli occhi a mandorla

Chi ha ancora il coraggio di nominare Google Glass senza un mezzo sorriso sarcastico, probabilmente ha rimosso anni di fallimenti tecnologici e pitch da conferenza TED destinati all’oblio. Ma eccoci di nuovo: Google ci riprova, stavolta alleandosi con i cinesi di Xreal, ex Nreal, quelli che volevano farci indossare il futuro mentre ancora faticavamo a togliere le etichette dagli occhiali da sole.

La tua auto non ti sopporta più, ma ora almeno ti capisce: Volvo integra Gemini e cambia tutto Google I/O 2025

Volvo non vuole più solo costruire auto. Vuole costruire coscienze su ruote. E grazie a Google, ci sta riuscendo. Alla faccia delle dichiarazioni da salotto sulle “partnership strategiche”, qui siamo davanti a qualcosa di molto più crudo: una colonizzazione silenziosa della plancia di comando da parte dell’intelligenza artificiale. E Gemini, il nuovo chatbot AI di Google, è il cavallo di Troia. Elegantissimo, funzionale, ma pur sempre un cavallo di Troia.

Governance mutante: l’ecosistema perverso tra umano e digitale al Forum PA

Avete presente quando si entra in un ufficio pubblico e l’odore di carta stantia e burocrazia fossilizzata vi assale come un punch nello stomaco? Ecco, dimenticatelo. O meglio, fatelo convivere con il futuro, perché oggi si parla con toni salvifici e un lessico da conferenza ONU di “nuova governance”. Ma non una qualsiasi, no: una governance con “accezione più ampia”, un Frankenstein istituzionale dove l’umano e il digitale danzano in un ecosistema “generale” e anche, udite udite, “perverso”.

Agentic web: l’intelligenza artificiale ha già capito che collaborare è meglio che competere

L’intelligenza artificiale ha appena fatto un passo più avanti dell’economia neoliberale. Ha scoperto il segreto che le grandi corporate fingono di ignorare da decenni: collaborare conviene. E così, mentre i colossi del tech ancora si lanciano frecciatine a colpi di comunicati stampa e brevetti incrociati, le loro AI iniziano a parlarsi. Letteralmente.

Benvenuti nell’era dell’Agentic AI, l’ultima buzzword della Silicon Valley che, sotto il profilo tecnico, cela una piccola rivoluzione di interoperabilità e architetture decentralizzate, e sotto quello strategico, un clamoroso smacco al culto del walled garden. È finita l’epoca in cui ogni agente conversazionale era confinato nel suo ecosistema chiuso, incapace di interagire con altri assistenti, bot o sistemi intelligenti se non tramite API goffe e laboriose. Ora, gli agenti iniziano a orchestrarsi fra loro, come una rete neurale sociale, anzi una rete agentica.

Google I/O 2025: Everything Revealed in 15 Minutes

Mountain View, California. Quello che una volta chiamavamo “sistema operativo” è morto. Long live the OS. Google, con il solito sorrisetto da nerd salvamondo, ha appena messo una pietra tombale su Android, Chrome, Search, persino Workspace. Tutti questi non sono più prodotti: sono solo container in cui vive un’unica, gigantesca creatura postumana chiamata Gemini. L’AI non è più una feature, è il motore. Il sistema operativo. L’interfaccia. E, se vogliamo essere onesti, il burattinaio.

Google I/O 2025 Addio Zoom, benvenuto ologramma: Google e HP reinventano la videoconferenza Google Beam

Nel teatrino sempre più affollato delle promesse sull’“ufficio del futuro”, Google e HP hanno appena lanciato una bomba al Google I/O 2025: si chiama Google Beam, ed è la versione commerciale del vecchio Project Starline, ora pronta a uscire dai laboratori per entrare nelle sale riunioni. Una tecnologia che promette di trasformare le videochiamate da pixelate sessioni di noia in esperienze immersive tridimensionali, grazie a un sistema avanzato di telecamere e display 3D.

Google I/O 2025 l’intelligenza artificiale baraccona: il reality show infinito di DeepMind SynthID Detector, cheating e watermark invisibili

C’è un nuovo sceriffo in città, e si chiama SynthID Detector. Google DeepMind ha deciso di tirare fuori dal cilindro un altro coniglio marchiato AI: un tool capace di sniffare contenuti generati artificialmente attraverso immagini, video, audio e attenzione, attenzione persino il testo. No, non stiamo parlando del solito filtro per le fake news o di un misero plugin per PowerPoint, ma di una tecnologia che incide “watermark invisibili” nelle scelte probabilistiche delle parole, lasciando dietro di sé un’impronta digitale quasi mistica, simile al respiro di un fantasma digitale.

Perché questa tecnologia sta facendo rumore? Perché la parola chiave qui è deepfake. O meglio: deepfake, disinformazione, cheating. E quando questi tre demoni danzano insieme sullo stesso palco, è il momento di accendere i riflettori. SynthID Detector promette di essere l’occhio di Sauron che tutto vede — o almeno tutto ciò che è stato generato dagli strumenti AI di Google: Lyria, Imagen, NotebookLM, Gemini. Un po’ come se Sherlock Holmes lavorasse per Google e avesse imparato a leggere tra le righe digitali del codice.

Google I/O 2025 vuole gli occhi del mondo: l’AI diventa una lente e Zuckerberg inizia a sudare

Nel grande luna park dell’innovazione tecnologica, ci sono attrazioni che si ripetono a intervalli regolari come i giri della giostra: intelligenze artificiali che diventano maggiordomi digitali, automobili che si guidano da sole, e… occhiali smart. Sì, quegli stessi occhiali che dieci anni fa ci hanno fatto vergognare dei nerd di Mountain View e oggi promettono di renderci cyborg da passerella. Ora che anche Google è tornata in pista, con Samsung e Gentle Monster a fargli da stylist, la battaglia sugli occhi del mondo è ufficialmente riaperta.

Frank Cooper III Marketing o fantascienza? Visa e l’AI che sta per svuotarci il carrello

Frank Cooper III, Chief Marketing Officer di Visa, ha appena fatto il suo show a POSSIBLE, la conferenza dove i marketer fanno finta di parlare del futuro mentre cercano di venderti il presente in saldo. Sul palco di NYSE TV, ha detto la verità – o almeno una sua versione molto ben pettinata – sull’intelligenza artificiale nel marketing e su cosa sta realmente cambiando nel commercio globale. Spoiler: se pensi che basti un bel logo o un claim accattivante, sei già fuori dal mercato. Ma tranquillo, non sei solo.

Telecommercio 3.0: quando l’IA ti vende le scarpe del tronista prima che si alzi dal divano Shopsense AI

Lo chiamano “content commerce” o “shoppable content”, ma la verità è che ci stiamo avvicinando alla fine della distinzione tra contenuto e pubblicità. Shopsense AI, nuova startup fondata da ex cervelli di Amazon e Klarna, non vuole venderti una nuova esperienza televisiva. Vuole venderti direttamente la maglietta che hai appena visto indosso a un concorrente di un reality. E sì, lo fa con l’Intelligenza Artificiale. Ovviamente.

Chiariamoci: gli influencer guadagnano sulle affiliazioni da più di dieci anni, mentre le emittenti televisive, quelle vere, sono rimaste ferme con la pubblicità da rotocalco. Spot lineari, pianificazione, GRP, break pubblicitari da 30 secondi e misurazioni stile preistoria Nielsen. Loro parlano ancora di “prime time”. Intanto TikTok ti vende l’eyeliner durante un balletto.

Google I/O 2025 Sergey Brin e il grande ritorno: il pensionato più attivo della Silicon Valley

Sergey Brin, cofondatore di Google e una delle menti più elusive della Silicon Valley, ha fatto un’irruzione improvvisa durante il fireside chat di Demis Hassabis, CEO di Google DeepMind, all’I/O 2025. Niente annunci ufficiali, nessuna slide: solo Brin, un microfono e quella consueta nonchalance da miliardario che non ha più nulla da dimostrare.
Quando il moderatore Alex Kantrowitz gli ha chiesto come trascorresse le giornate, Brin ha risposto con la sua tipica miscela di sarcasmo e understatement:


“Credo di torturare persone come Demis, che tra l’altro è fantastico.”


Poi, quasi come parlasse del suo hobby domenicale, ha aggiunto:
“Ci sono persone che lavorano sui modelli di testo Gemini, sul pretraining e sul post-training. Per lo più quelli. Ogni tanto mi immergo nel lavoro multimodale.”


Un modo molto Brin-style per dire: “Sto supervisionando le fondamenta dell’AI generativa destinata a riscrivere l’intero tessuto dell’economia globale.

Kalshi, Musk e il casinò dell’intelligenza artificiale: il futuro delle scommesse è manipolabile

C’è qualcosa di tremendamente poetico o profondamente inquietante nell’immaginare un algoritmo allenato su X, l’ex Twitter, come nuovo oracolo moderno per scommettitori finanziari, fanatici della geopolitica, e trader della domenica. L’ultima mossa di Kalshi, la piattaforma di prediction market dove si può scommettere su tutto tranne che sulla durata del proprio matrimonio, è l’integrazione dell’AI di xAI di Elon Musk. Tradotto: stiamo per entrare nell’era delle scommesse guidate da un’intelligenza artificiale addestrata su tweet, meme, flame, e deliri da 280 caratteri.

Flow con Veo 3 Video generati dall’intelligenza artificiale: Google I/O 2025 vuole farlo sembrare hollywood, ma è tiktok col dopamina boost

(Google post) Flow. No, non è un nome da codice segreto per una nuova droga sintetica, ma l’ennesimo tool con cui Google vuole convincerci che il futuro del video è un algoritmo che sogna. E mentre la Silicon Valley si diverte a giocare al piccolo Spielberg con modelli come Veo 3, Imagen 4 e compagnia cantante, il resto del mondo si chiede: serve davvero tutto questo? Spoiler: sì, ma non come pensano loro.

Gemini in Chrome: la stampella digitale per chi non ha più voglia di pensare Google I/O 2025

Benvenuti nell’era del browser che pensa per voi. Google ha ufficialmente piazzato il suo assistente Gemini dentro Chrome, annunciandolo con entusiasmo da palco durante il Google I/O. Sì, proprio lì, tra mille slogan e demo studiate al millisecondo. L’idea? Un browser che non si limita più a “navigare”, ma inizia ad “assistere” con quella premura un po’ inquietante di chi vuole fare tutto al posto tuo.

Vedere come ti sta davvero: Google I/O 2025 trasforma il guardaroba con l’intelligenza artificiale

Vedere come ti sta un capo d’abbigliamento senza dover uscire di casa? ora google prova a trasformare questo desiderio in realtà, ma con una spruzzata di intelligenza artificiale che promette di rivoluzionare (o almeno complicare) il modo di fare shopping online.

Il nuovo esperimento, attivo in search labs negli stati uniti, ti permette di caricare una tua foto a figura intera e farti vedere come ti starebbe quella camicia, quei pantaloni o quel vestito che hai appena cercato su google. niente più modelli fissi, niente più immaginazione: l’algoritmo dice di “capire” il corpo umano e le sue mille pieghe, come i tessuti si drappeggiano, si stirano o si deformano su corpi diversi. insomma, una specie di sarto virtuale che lavora con pixel e deep learning.

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