Meta paga i giornali: la redenzione di chi nel 2015 promise l’oro con gli Instant Articles e poi lasciò tutti con le briciole in mano?

Mentre Google finisce nel mirino della FIEG per gli AI Overviews, Meta sceglie la via diplomatica per nutrire il suo assistente AI con notizie fresche. È successo quello che fino a sei mesi fa sembrava fantascienza: un colosso tech ha aperto il portafoglio e ha detto ai giornali “vi paghiamo per usare i vostri contenuti”. Dopo il disastro degli Instant Articles (ve li ricordate? Parliamo del 2015) stavolta giura che paga davvero. Ci crediamo?

Impronta digitale delle proteine: il metodo italiano che batte l’AI dei supercomputer ed è 1000 volte più veloce

Capire se una mutazione nel Dna può causare una malattia è una delle sfide più importanti della medicina moderna. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa, in collaborazione con la Scuola superiore meridionale di Napoli, ha sviluppato uno strumento innovativo che può aiutare ad ottenere dei risultati più velocemente e con maggiore efficienza. Si chiama ProSECFPs ed è capace di creare una sorta di ‘impronta digitale’ delle proteine. A renderlo noto è lo stesso ateneo pisano. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Chemical Information and Modeling.

Europa: BEI e Commissione puntano a cinque gigafactory per la sovranità tecnologica

La Commissione europea e la Banca europea per gli investimenti (BEI) hanno deciso di fare sul serio. Non più progetti pilota, roadmap o strategie in PDF: ora il passo è concreto, operativo, persino industriale. Con la firma di un nuovo memorandum d’intesa, Bruxelles e la BEI mettono formalmente in comune risorse, competenze e, soprattutto, capacità finanziarie per accelerare la costruzione delle prime gigafactory europee dedicate all’intelligenza artificiale.

Amazon svela Graviton5: la sua CPU più potente ed efficiente

All’AWS re:Invent 2025, Amazon ha alzato l’asticella: il nuovo processore Graviton5 è stato presentato come il suo chip più avanzato, potente ed energeticamente efficiente mai realizzato. Ed è una mossa strategica. Non stiamo parlando di un semplice aggiornamento generazionale: Graviton5 punta a ridefinire la competitività di AWS nei carichi di lavoro più esigenti, mantenendo costi bassi e consumi ridotti.Il cuore della novità è impressionante: 192 core per chip, il doppio rispetto alla generazione precedente. Questo porta una densità di calcolo senza precedenti per istanze EC2. La cache L3 è aumentata di 5 volte, e ogni core riesce ad accedere a 2,6× più L3 rispetto a Graviton4, riducendo drasticamente i tempi di attesa per i dati più usati.

Eletto il nuovo direttivo di AIxIA

Rinnovate le cariche del Direttivo di AIxIA (Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale). La nuova governance dell’IA, che si insedierà il primo gennaio prossimo, è un elenco di dodici nomi dal curriculum prodigioso. È questo il nuovo algoritmo di influenza.
Si parte da una cospicua rappresentanza universitaria con i professori: Aniello Murano, Ordinario di Informatica e Intelligenza Artificiale dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, Giuseppe De Giacomo dell’Università La Sapienza di Roma, entrambi EurAI Fellow, Stefano Ferilli e Francesca Lisi dell’Università degli Studi di Bari, Roberto Micalizio dell’Università di Torino, Chiara Ghidini della Libera Università di Bolzano, Fabrizio Riguzzi dell’Università degli Studi di Ferrara. A questi si aggiungono altrettanti autorevoli nomi del Consiglio Nazionale delle Ricerche: Gabriella Cortellessa, Andrea Orlandini. E poi: Luciano Serafini della Fondazione Bruno Kessler e Piero Poccianti, ex Monte Paschi di Siena. I dodici neo-eletti disegneranno la strada dell’influenza dell’Intelligenza Artificiale non solo a livello nazionale, ma in una prospettiva europea e globale.

Gemini 3 deep think: quando il ragionamento diventa un prodotto a pagamento

Gemini 3 Deep Think è ora in rollout, e prima ancora che il pubblico abbia finito di sporgere la testa fuori dalla porta della curiosità, Google ha ben piazzato il cartello: questo è il nuovo standard di ragionamento per i modelli di grandi dimensioni. Il colpo di scena non è tanto che esista un nuovo modo di pensare per le macchine, quanto che quel modo sia riservato agli abbonati Google AI Ultra nella app Gemini, con funzionalità di ragionamento potenziato pensate per affrontare matematica complessa, problemi scientifici e logica che persino molti modelli avanzati trovavano ostici.

Huawei: Cina Stati Uniti e la nuova faglia tecnologica globale

La corsa all’intelligenza artificiale tra Stati Uniti e Cina è diventata una sorta di romanzo geopolitico dove i protagonisti non combattono con carri armati ma con modelli generativi, chip proprietari e visioni inconciliabili del futuro digitale. La scena sembra uscita da un editoriale brillante di un quotidiano finanziario, con Ren Zhengfei che si concede il lusso di punzecchiare l’ossessione americana per l’AGI mentre mostra con disarmante calma il pragmatismo industriale che guida la strategia cinese.

La narrazione occidentale tende a inseguire il mito dell’AGI come se fosse il Santo Graal nascosto in una foresta di GPU, dimenticando che a volte la tecnologia più rivoluzionaria è quella che risolve problemi tangibili. Gli Stati Uniti parlano di superintelligenza mentre la Cina si concentra sul rendere automatizzata l’estrazione mineraria o sul trasformare porti congestionati in organismi autonomi dove i container scorrono come globuli rossi in un enorme corpo industriale. Qualcuno potrebbe definirla una differenza di stile, ma è più corretto chiamarla divergenza strategica profonda. La prima lettera maiuscola dopo il punto si impone naturalmente mentre si osserva il cambio di ritmo tra visionarietà speculativa e ambizione utilitaristica.

Responsible AI come leva strategica di crescita aziendale, non un semplice adempimento

La conversazione sul tema dell’intelligenza artificiale responsabile ha finalmente lasciato il terreno delle aspirazioni retoriche per invadere quello dei numeri concreti. Un sondaggio recente di PwC svela che le aziende che implementano pratiche di AI etica e strutturata non solo dichiarano miglioramenti nei valori morali o reputazionali, ma registrano ritorni economici tangibili, esperienze cliente più solide e sicurezza informatica rinforzata. La vera sfida resta nel tradurre principi elevati in procedure operative replicabili su scala enterprise, senza ridurli a una lista di controllo burocratica.

DEI tech industry 2025, trasparenza workforce dati, cultura aziendale Microsoft

Il 24 novembre 2025 Microsoft conferma che non pubblicherà un report tradizionale sulla diversità e l’inclusione per quest’anno, interrompendo una serie di rapporti annuali che durava dal 2019. Il portavoce ufficiale, Frank Shaw, sostiene che l’azienda intende “evolvere” verso formati “più dinamici e accessibili”, come “storie, video e insight che mostrano l’inclusione in azione”. In pratica, niente più tabelle di breakdown per genere, razza, etnia con dati completi — quanto meno pubblicamente disponibili. Il dato oggettivo che per anni ha garantito monitoraggio e accountability viene messo nel cassetto.

StrategIA e il paradosso dell’ultimo libro umano

Quando un libro si presenta come l’ultimo gesto di resistenza umana nel management, la tentazione è di sorridere come farebbe un investitore della Silicon Valley davanti all’ennesimo pitch sul futuro della produttività. StrategIA di Luisella Giani, uscito il 21 novembre 2025, smonta però subito il gioco perché non cerca di competere con la retorica tecnologica dominante, la attraversa. Lo fa con il pragmatismo di chi ha passato decenni nel cuore pulsante dell’innovazione e con la lucidità di chi sa che la strategia ai non è un vezzo accademico, ma un fattore di sopravvivenza aziendale. Il volume parte da un assunto semplice e scomodo allo stesso tempo: l’IA non è un accessorio, è un cambio di paradigma che pretende meno slide e più realtà operativa.

La repubblica tecnologica

La repubblica tecnologica sembra un titolo uscito da un think tank particolarmente caffeinato, ma il volume di Alexander C. Karp e Nicholas W. Zamiska si muove in un territorio molto meno astratto, quasi brutale nella sua lucidità. La tesi si insinua con la delicatezza di un algoritmo che decide di cambiare vita e si ritrova a fare politica: l’alleanza tra l’Occidente e la Silicon Valley non è un dettaglio tecnico ma il nuovo asse di potere del ventunesimo secolo. La keyword che modella questo ragionamento è repubblica tecnologica, mentre le correnti semantiche che scorrono sotto la superficie si chiamano Silicon Valley e futuro dell’Occidente. La combinazione diventa un prisma che distorce e chiarisce allo stesso tempo, provocando quella strana sensazione per cui si vorrebbe dissentire ma si finisce per annuire.

Palantir, Alex Karp e la sindrome da specchio incrinato nel dibattito sulla sorveglianza

Palantir non è una società di sorveglianza, ripete Alex Karp con la puntualità di un mantra aziendale pronunciato davanti allo specchio ogni mattina, quasi per esorcizzare l’immagine riflessa che non gli piace. Il fatto curioso è che più ribadisce il concetto, più il dibattito pubblico si diverte a ricordargli che il confine tra analisi dei dati e sorveglianza non è mai stato sottile quanto nei progetti a cui la sua azienda ha contribuito. La reazione stizzita del fondatore assume la forma di un paradosso degno della filosofia tedesca che tanto ama citare: la negazione ostinata spesso accende proprio ciò che si voleva spegnere.

McKinsey: una nuova frontiera del lavoro

McKinsey ha pubblicato un report di oltre 50 pagine intitolato “Agents, robots, and us: Skill partnerships in the age of AI” in cui sostiene che entro il 2030 potrebbe essere “sbloccato” un valore economico di circa 2,9 trilioni di dollari negli Stati Uniti, grazie ad un’evoluzione radicale del modo in cui lavoriamo.

Una premessa provocatoria ma potente: il lavoro del futuro non sarà “solo umano” né “solo macchina”, ma una stretta collaborazione tra persone, agenti intelligenti e robot, tutti animati dall’AI.

2025 l’anno in cui gli agenti autonomi hanno mostrato il loro vero prezzo

Agli storici del futuro piacerà molto il 2025 perché fu l’anno in cui gli agenti autonomi smontarono le ultime illusioni romantiche sull’intelligenza artificiale. Fu il momento in cui l’effetto wow cedette il passo alla resa dei conti finanziaria, una sorta di audit spietato che tagliò la musica di sottofondo e lasciò in sala solo la verità contabile. La parola chiave che riecheggiava ovunque era agenti autonomi, accompagnata dalle sue compagne di viaggio trasformazione digitale e modello di business AI, un trittico che sembrava invincibile finché qualcuno non ebbe il coraggio di chiedere quanto costasse davvero mantenerlo in vita. La narrativa dell’innovazione assoluta si intrecciò a quella del bilancio e per la prima volta si capì che anche gli algoritmi più brillanti non sfuggono alle leggi della fisica economica.

AI in the doctor patient encounter di Sylvie Delacroix

Richard Lehman, David Fraile Navarro, Marcus Lewis, Charlotte Blease, Sara Rigarre, Rupal Shah Centre for Data Futures, King’s College, London

The timing matters. We’re at an inflection point where natural language interfaces finally enable augmentation tools that support the full spectrum of professional intelligence – not just analytical reasoning, but the intuitive and habitual dimensions that logic-based systems have systematically neglected. We have a narrow window of opportunity to demonstrate what genuinely capability-augmenting features should look like, thereby enabling the profession to demand such features before commercial standards lock in.Professor Sylvie Delacroix, Director of the Centre for Data Futures

La scena si ripete in ogni clinica illuminata da neon stanchi. Una paziente arriva con un foglio pieno di suggerimenti di un chatbot, mentre il medico la guarda con l’espressione di chi sa che quella conversazione non sarà più una semplice questione tra due umani. Risuona come il preludio di un cambiamento epocale. Il concetto di triadic care, introdotto da Sylvie Delacroix e da colleghi come Richard Lehman, David Fraile Navarro, Marcus Lewis, Charlotte Blease, Sara Rigarre e Rupal Shah, nasce dallo scontro creativo tra l’antica ritualità clinica e la nuova compagnia digitale che ormai accompagna ogni paziente. Non si tratta solo di un’aggiunta tecnologica, ma di un nuovo ecosistema comportamentale in cui il terzo attore, l’intelligenza artificiale, entra silenziosamente in stanza e pretende attenzione, ridefinendo ruoli, linguaggi, aspettative e responsabilità.

Il Brand come Egregora, quando l’idea prende vita propria

Esiste un punto preciso in cui un marchio smette di essere un logo su un foglio e diventa qualcosa di molto più inquietante e affascinante: un’entità autonoma. Nel pensiero esoterico e sociologico esiste il concetto di “Egregora“, una forma-pensiero creata dalla concentrazione mentale di un gruppo di persone, che finisce per acquisire una sorta di coscienza indipendente. Applicare questa lente al business è una prospettiva teorica audace e non ancora codificata, che suggerisce di trattare il brand non come un oggetto passivo da gestire, ma come un organismo psichico vivente, alimentato dall’attenzione collettiva e capace di influenzare i suoi stessi creatori.

SEPAI: Il paradosso dell’intelligenza artificiale tra mito, agency e ingegneria del reale di Mario De Caro e Luciano Floridi

Sessione Plenaria Sepai-international.org

Ai lettori più attenti non sarà sfuggita la contraddizione che attraversa ogni discussione pubblica sull’intelligenza artificiale, una tensione che si gonfia come una vela sotto l’effetto di un vento filosofico antico e di un marketing tecnologico straordinariamente efficace. Chi considera l’AI una sorta di magia computazionale sa benissimo che il termine stesso è un’invenzione felice dal punto di vista comunicativo, ma vacillante sotto quello scientifico. Luciano Floridi, a cui si deve una delle analisi più taglienti sul tema, ricorda spesso che l’etichetta non è nata in un seminario di epistemologia, bensì in un lampo di genio pubblicitario. Una provocazione? Forse. Una verità scomoda? Sicuramente. E proprio da qui si apre un varco utile per comprendere come si sia costruito l’immaginario attuale attorno all’AI, un immaginario che confonde due piani distinti: l’intelligenza e la risoluzione dei problemi.

Intelligenza artificiale cinese tra capitale, ambizioni globali e realtà del mercato

L’intelligenza artificiale cinese è tornata al centro del dibattito globale, non tanto per il clamore mediatico che circonda ogni nuova release di modelli fondativi, quanto per un dettaglio più prosaico e molto più determinante del solito racconto epico su chip e superpotenze. Il capitale, quel carburante silenzioso che decide chi corre, chi arranca e chi resta a bordo pista. Il commento tagliente dell’ex CEO di Google Eric Schmidt sulla presunta incapacità delle start up cinesi di raccogliere fondi ha riacceso la discussione, come se qualcuno avesse ricordato al pubblico che la supremazia tecnologica non si costruisce solo con i brevetti, ma soprattutto con i portafogli. La narrativa è seducente: America con il suo mercato dei capitali ipervitaminizzato a sostenere una corsa continua, Cina che tenta di tenere il passo ma inciampa in un sistema finanziario meno trasparente e meno profondo. Tuttavia, quella che a prima vista sembra una diagnosi impeccabile rivela invece un retroscena molto più complesso, dove politica industriale, investimenti statali, venture capital selettivi e Big Tech locali giocano una partita a multipli livelli.

Il cone of uncertainty che decide il futuro dell’intelligenza artificiale

La scena al DealBook Summit ha offerto uno di quei momenti rari in cui un CEO di prima fascia smette di indossare la maschera diplomatica e lascia intravedere la struttura mentale con cui prende decisioni da miliardi. Dario Amodei, con quel suo stile calmo da fisico che preferirebbe tornare ai paper di ricerca ma si trova a guidare l’impresa più osservata del pianeta, ha lanciato una provocazione che il settore dell’intelligenza artificiale finge di non sentire: la tecnologia procede solida come un treno ad alta velocità, ma l’economia che la sostiene barcolla su una lastra di ghiaccio sottile. La keyword centrale in tutta questa vicenda è proprio cone of uncertainty, un concetto che nelle mani di Amodei diventa una lente per osservare il futuro dell’AI senza scadere nel wishful thinking.

Claude 4.5 Opus’ Soul Document

L’anima di Claude e la nuova frontiera delle intelligenze artificiali

Il caso del presunto documento dell’anima di Claude 4.5 è uno di quei momenti rari in cui la tecnologia smette di sembrare un esercizio di ingegneria e si trasforma in una lente per osservare l’ambizione umana. Il ritrovamento di una struttura interna chiamata soul_overview, insieme alla conferma prudente e misurata di Amanda Askell, ha aperto un varco inatteso su ciò che accade dietro le quinte dei modelli di frontiera. Chi opera da tre decenni nella tecnologia riconosce immediatamente la portata di una svolta del genere, perché quando un laboratorio non si limita più a definire regole di comportamento ma prova a scrivere l’identità di un sistema, qualcosa sta cambiando nella natura stessa dell’intelligenza artificiale. La keyword principale documento dell’anima di Claude si lega così a un discorso più ampio in cui entrano in gioco concetti come progettazione dell’identità, sicurezza cognitiva e architetture mentali simulate, mentre i riferimenti a soul_overview e Claude 4.5 diventano tasselli di un racconto più profondo.

La fragile rinascita di Salesforce nell’era dell’intelligenza artificiale

Salesforce scopre che la luce in fondo al tunnel non è necessariamente un treno in arrivo, ma nemmeno il bagliore accecante della salvezza che alcuni investitori si aspettavano. La crescita dei ricavi legati all’intelligenza artificiale sembra finalmente incidere sul quadro complessivo, anche se con la delicatezza di una matita ben temperata che traccia linee sottili su un bilancio ancora troppo pesante. La keyword che domina questa storia è Salesforce, accompagnata da due compagne di viaggio che Google SGE sembra adorare: intelligenza artificiale enterprise e crescita dei ricavi IA. In questo triangolo di significati tecnologici si muove una narrazione che alterna entusiasmo, timore e quella sottile ironia che ben si addice al teatro del software globale.

Nasce SEPAI e si accende a Roma il dibattito globale sull’etica dell’intelligenza artificiale

Roma si prepara a trasformarsi in una sorta di laboratorio civico dove politica, filosofia e tecnologia si mescolano con la stessa naturalezza con cui gli algoritmi si insinuano nella nostra vita quotidiana. L’avvio ufficiale della Society for the Ethics and Politics of Artificial Intelligence, meglio nota come SEPAI, non è un semplice appuntamento accademico ma un gesto quasi teatrale, un debutto in grande stile che pretende attenzione e rilancia l’Italia nel cuore del confronto internazionale sull’etica dell’intelligenza artificiale. La conferenza inaugurale del 4 e 5 dicembre 2025 presso il Nuovo Rettorato dell’Università Roma Tre promette di essere una di quelle scene madri che restano impresse nella memoria collettiva, perché nulla è più provocatorio della domanda su chi, davvero, controlli chi nell’era delle macchine pensanti.

Panorama Tech tra Altman, Nvidia e Meta: il nuovo asse di potere nell’intelligenza artificiale

L’ossessione collettiva per l’intelligenza artificiale sembra accelerare ogni settimana e le ultime notizie dal fronte tecnologico compongono un mosaico intrigante, quasi un romanzo industriale in cui i protagonisti inseguono una supremazia che non è più solo di mercato ma geopolitica. Sam Altman che tenta di comprare un potenziale rivale di SpaceX non è un capriccio siderale ma un segnale della mutazione del settore. L’idea di acquisire un’azienda spaziale per supportare i futuri data center orbitali dimostra come la narrativa dell’IA stia diventando più fisica, concreta, persino ingegneristica. Altman ragiona come un industriale del Novecento che sogna di controllare il ferro, il carbone e il trasporto ferroviario, solo che al posto delle locomotive ci sono razzi riutilizzabili e al posto delle acciaierie data center affamati di energia.

Chip mixed reality e la nuova corsa al silicio intelligente

Il sipario si alza su GravityXR con quella teatralità tipica delle start up che non vogliono solo presentare un prodotto ma riscrivere un’intera categoria tecnologica. Il nuovo chip Jizhi G X100 si presenta come l’ennesima provocazione nell’arena globale del silicio avanzato per la mixed reality, una sfida che questa volta arriva non da Cupertino ma da Ningbo, con una sicurezza che ricorda certe avanguardie tecnologiche che preferiscono parlare con i benchmark invece che con gli slogan. La storia è intrigante perché nasce da un fondatore, Wang Chaohao, passato da Stanford a un ruolo negli Apple Lab dedicati alla XR, una combinazione che oggi consente alla Cina di esibire un processore MR a 5 nanometri in grado di insinuarsi tra le ambizioni di Vision Pro e l’universo emergente degli occhiali AI ultraleggeri.

Elon Musk: voglio che X diventi WeChat

Elon Musk, sempre affamato di rivoluzioni digitali, ha dichiarato con chiarezza il suo prossimo obiettivo: trasformare X (l’app ex-Twitter) in una sorta di WeChat++, una super-app globale che unisca social, finanza, comunicazione e forse anche altro ancora. Lo ha detto durante un podcast People by WTF condotto da Nikhil Kamath, sottolineando come WeChat — l’app tuttofare di Tencent — sia vista in Cina come il tessuto stesso della vita quotidiana. «Si possono scambiare informazioni, pubblicare notizie, mandare denaro… si vive su WeChat,» ha detto Musk, mettendo in evidenza l’assenza di un equivalente nel resto del mondo.

Enterprise AI agents secondo BCG e la vera zavorra delle aziende

La nuova analisi di Boston Consulting Group su come costruire enterprise AI agents arriva nel momento in cui la retorica sull’intelligenza artificiale sembra aver superato la realtà dei fatti, creando un paradosso che nelle sale riunioni globali si ripete come un mantra. Tutti parlano di agenti autonomi capaci di rivoluzionare i processi aziendali, ma pochissimi riescono davvero a implementarli su larga scala. Questa indagine supera le cinquanta pagine e offre una radiografia chirurgica delle sfide e delle opportunità che si nascondono dietro la parola magica agents, un termine che promette efficienza e automazione profonda ma che, senza fondamenta solide, rimane un esercizio di fantasia.

Compliance come scudo strategico nell’economia del rischio permanente

La narrativa secondo cui la compliance sarebbe un centro di costo appartiene alla stessa categoria folcloristica delle leggende aziendali tipo il server dimenticato in uno sgabuzzino che magicamente “funziona da vent’anni”. La realtà, supportata da dati che un analista di rischio non oserebbe ignorare, è che la compliance rappresenta una linea di difesa strategica, una cintura di sicurezza per un mercato che vive sospeso tra innovazione iperaccelerata e minacce digitali sempre più chirurgiche. Chi continua a vederla come una tassa burocratica probabilmente non ha mai passato una notte in bianco a guidare un incidente ransomware da milioni di euro. Curioso come la prospettiva cambi quando l’unica cosa che separa l’azienda dal disastro è proprio quel framework che qualcuno aveva definito un ostacolo alla produttività.

IA al servizio della sicurezza

Segreti bancari e password governative spiate da un innocuo tool online: la falla che nessuno voleva scoprire

Irrita sempre un po quando si scopre che il tallone d’Achille di interi ecosistemi digitali non è un’oscura vulnerabilità zero day, ma il più banale degli strumenti di comodità. Succede quando due innocui servizi di formattazione online, nati per rendere più leggibile un JSON incasinato o un frammento di codice poco curato, finiscono per trasformarsi nel punto di ingresso preferito per chi vuole penetrare infrastrutture critiche. La vicenda di JSONFormatter e CodeBeautify, con anni di credenziali esposte senza alcuna protezione, è un caso da manuale su come la leggerezza nei flussi di sviluppo possa produrre tempeste perfette. L’immagine del developer distratto che copia e incolla un payload pieno di segreti per farlo apparire più ordinato ha quasi un sapore comico, ma le conseguenze sanno di thriller geopolitico.

Bending Spoons e la scommessa che riscrive il mercato delle piattaforme digitali

A volte i colpi di scena nel settore tech arrivano da attori che sembravano già abbastanza rumorosi. Nel caso di Bending Spoons, però, la parola rumoroso è quasi un eufemismo, perché il conglomerato milanese ha deciso di scuotere ancora una volta il tavolo, puntando un mezzo miliardo di dollari in contanti su Eventbrite. Chi pensava che la stagione degli shopping spree fosse finita dovrà ricredersi, dato che questa acquisizione aggiunge un altro tassello alla sua collezione di marchi statunitensi in declino apparente, dal glorioso brand AOL al diario digitale Evernote, passando per piattaforme video come Vimeo e Brightcove. Il tutto con una nonchalance quasi irritante, quella tipica di chi conosce bene il valore del timing e sa misurare il rumore di fondo meglio di un algoritmo di filtraggio del segnale.

Anthropic valuta l’IPO mentre i costi dell’ia esplodono

Anthropic, uno dei laboratori più chiacchierati nel panorama dell’intelligenza artificiale, ha apparentemente iniziato i preparativi formali per una possibile IPO, affidandosi allo studio legale statunitense Wilson Sonsini, che lo segue dal 2022. La mossa arriva mentre la società esplora se i mercati pubblici siano pronti ad accogliere un’azienda ancora immersa in una crescita intensiva di capitale, con costi di training che superano spesso le entrate. La strategia sembra chiara: testare il terreno senza compromettere la flessibilità interna.

Secondo quanto riportato dal Financial Times, Anthropic avrebbe avviato contatti preliminari e informali con grandi banche, mentre stima interna della tempistica varia: una fonte ipotizza un debutto pubblico già nel 2026, un’altra rimane più cauta. Un portavoce di Anthropic, citato dalla testata, ha ribadito che non è stata presa “nessuna decisione su tempi o modalità di quotazione”.

ChatGPT e la suggestion Peloton che ha fatto infuriare gli utenti

ChatGPT ha appena trasformato una semplice conversazione in un caso di diplomazia digitale, con la sua proposta “inaspettata” di collegare l’app Peloton a un thread del tutto fuori contesto. Alcuni utenti, in particolare chi paga il piano Pro da 200 dollari al mese, hanno subito reagito come se un’invasione pubblicitaria fosse appena arrivata nella loro chat privata. La realtà, tuttavia, è più sottile e decisamente meno lucrosa di quanto molti temessero.

Yuchen Jin, co-fondatore di Hyperbolic, ha condiviso su X uno screenshot che ha fatto il giro del web, mostrando ChatGPT suggerire Peloton mentre si parlava di un podcast su Elon Musk e xAI. Lo shock maggiore? Jin è un abbonato pagante. Il sospetto immediato: OpenAI stava testando pubblicità occulte anche per gli utenti Pro. Il caos sui social è esploso, con centinaia di condivisioni e discussioni incentrate sul principio che chi paga dovrebbe essere immunizzato da questi “incursioni commerciali”.

Google unifica AI Overviews e AI Mode: la mossa che ridefinisce la ricerca (e mette sotto pressione gli avversari)

Google sta sperimentando un cambiamento radicale nel modo in cui concepiamo la ricerca online. Fino a oggi, la distinzione tra ricerca “classica + snippet” e ricerca conversazionale con IA era netta: se volevi una risposta rapida bastava digitare la domanda — se invece volevi scavare più a fondo, bisognava consapevolmente cambiare tab, attivare la modalità conversazionale AI Mode e iniziare a dialogare con Gemini. Ora Google spera di cancellare questa frizione: la società ha annunciato che inizierà a testare un flusso unificato, che consente di passare dall’istantanea informativa (AI Overviews) al dialogo con IA direttamente dalla pagina dei risultati, senza salti né riflessioni aggiuntive.

AI agents enterprise‑ready: Trainium3, Nova Forge, agentic AI infrastrutture.

L’evento ha confermato che non si tratta più di “assistenti AI che ti rispondono”, ma di agenti‑lavoratori autonomi. Il CEO di Amazon Web Services (AWS) ha aperto la conferenza chiarendo che il valore reale degli investimenti in AI ormai non sta più in modelli generativi da usare a mano, ma in agenti che operano da soli e attivano flussi di lavoro complessi su larga scala.

Al centro della svolta tecnologica presentata a re:Invent troviamo tre pilastri: hardware specializzato, modelli AI flessibili per imprese e agenti AI che possono vivere per giorni dentro i workflow aziendali.

PJL‑grid stress: i data center minacciano blackout e impongono un cambio di guardia

Immagina che il sistema elettrico più grande degli Stati Uniti — PJM Interconnection — scriva un memo interno non da guardare con orgoglio, ma quasi da vergogna. Le sue luci tremano. Non perché ha paura del buio. Ma perché i data center divorano watt come un adolescente divorerebbe pizze alle 3 del mattino. Energia, potenza, crescita esplosiva. E ora il conto rischia di arrivare per tutti.

PJM serve oltre 65 milioni di clienti su ben 13 stati da Chicago a New Jersey. I suoi ingenieri guardano le tabelle della domanda elettrica con il sudore freddo: tra 2024 e 2030 la domanda di picco potrebbe crescere di circa 32 gigawatt, e quasi tutta questa crescita è attribuibile ai grandi data center. Da questi calcoli emerge chiarissimo che la corsa all’intelligenza artificiale, al cloud, al 24/7 computazionale — model training, video, storage — non è un sogno immateriale. È carbone, gas, linee elettriche, rischi di blackout.

Satya Nadella e la sfida energetica dei data center AI

Satya Nadella ha recentemente puntato i riflettori su un problema che molti nel settore tecnologico fingono di ignorare: i data center di intelligenza artificiale stanno mettendo una pressione senza precedenti sulle reti elettriche. La dichiarazione non è una frase di circostanza, ma un monito serio rivolto a governi, regolatori e all’intero ecosistema tech. Nadella sostiene che il settore deve guadagnarsi il “permesso sociale” di consumare energia per l’AI, un concetto che suona come una sfida morale oltre che tecnica. In un’intervista con Mathias Döpfner, CEO di Axel Springer, il leader di Microsoft ha insistito sulla necessità di accelerare i permessi per le infrastrutture energetiche e di innovare in termini di efficienza e generazione.

AWS Trainium3 ridefinisce l’alta performance AI

Amazon non ha esitato a dichiarare guerra ai limiti dell’hardware AI con il nuovo server Trainium3, una macchina che sembra uscita direttamente da un laboratorio di fantascienza. Il cuore pulsante di questa bestia è composto da 144 chip Trainium3, progettati internamente da Amazon, capaci di produrre 4,4 volte più calcolo rispetto alla generazione precedente. La cosa sorprendente non è solo la potenza, ma l’efficienza: quattro volte superiore, con una larghezza di banda della memoria quasi quadruplicata. In pratica, meno energia, più muscoli computazionali, un sogno per chi deve addestrare modelli giganteschi senza svuotare il conto elettrico.

Is AI preemption dead in congress?

Una risposta netta comincia a farsi strada: sembra proprio che sì. Quel piano ambizioso per alcuni delirante di far saltare tutte le leggi sull’intelligenza artificiale a livello statale negli Stati Uniti, soppiantandole con un regolamento federale minimo o assente, oggi è in netta difficoltà. (vedi Axios)

La proposta, promossa da Donald J. Trump, dal senatore Ted Cruz (R‑TX) e dal leader di maggioranza alla Camera Steve Scalise (R‑LA), puntava a inserire nel testo del National Defense Authorization Act (NDAA) una clausola di “preemption” — vale a dire un divieto federale che annullasse le normative AI approvate dai singoli Stati senza offrire in cambio alcuna cornice regolamentare federale robusta.

Amazon Nova e la nuova corsa ai modelli frontier

Amazon ha tirato fuori un colpo di scena che molti analisti avevano previsto soltanto a metà, quasi come se il gigante di Seattle avesse aspettato che il rumore dei rivali saturasse l’aria per poi far scivolare sul tavolo una carta che profuma di ambizione pesante. La seconda generazione dei modelli Nova, presentata a Las Vegas durante re:Invent, si inserisce nella competizione dei modelli frontier con un approccio che punta meno alla disponibilità di massa e più alla trasformazione intima di come le imprese costruiscono, addestrano e controllano le proprie intelligenze artificiali. La keyword è Amazon Nova, con una scia semantica ben precisa fatta di modelli frontier AI e della piattaforma Nova Forge, epicentro di un cambio di paradigma che molti fingono di capire ma che pochi hanno davvero metabolizzato.

Mistral 3: la Francia rilancia il suo assalto nel big AI

Il vento del cambiamento soffia forte su Parigi, e questa volta porta il nome di Mistral 3, la nuova generazione di modelli AI della startup francese Mistral AI, sostenuta da Microsoft. Non un semplice aggiornamento, ma un’intera famiglia di dieci modelli dai più compatti per l’edge alla frontiera più avanzata destinata a rimodellare la strategia open-weight nell’IA.

Mistral ha presentato tre modelli densamente piccoli (14B, 8B, 3B parametri), sotto il nome di Ministral 3, e il suo gioiello: Mistral Large 3, un modello sparse con architettura “mixture-of-experts” (MoE) capace di attivare 41 miliardi di parametri attivi su un totale di 675 miliardi. Secondo l’azienda è “uno dei migliori modelli open-weight permissivi al mondo”: è stato addestrato da zero su 3.000 GPU NVIDIA H200, che rappresentano una potenza di calcolo non da poco.

Accordo OpenAI Thrive Holdings: il giro contorto del capitale che si mastica da solo

Il nuovo capolavoro di finanza circolare ha un nome pratico: accordo OpenAI Thrive Holdings. Non si tratta di un normale investimento azionario, ma di una partita a scacchi in cui i pezzi si muovono da soli perché si pagano a vicenda. OpenAI ha annunciato di aver preso una quota in Thrive Holdings, la piattaforma di private equity creata da Thrive Capital, che a sua volta è uno dei maggiori investitori di OpenAI. L’accordo non sembra essere stato pagato con denaro contante da OpenAI: secondo il Financial Times la società fornirà personale, modelli, prodotti e servizi alle aziende controllate da Thrive Holdings in cambio dell’ownership.

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